Rileggiamo il Sidereus Nuncius – I satelliti di Giove – Domenico Licchelli

Copertina_Rileggere-il-Sidereus-NunciusIn questo capitolo parleremo del Sidereus Nuncius, l’opera in cui il grande Galileo riporta le prime osservazioni eseguite con il suo perspicillum (cannocchiale). Descrive la Luna, la Via Lattea, le stelle, per concludere con la sua più importante scoperta: i satelliti di Giove. Per capire la genialità, l’entusiasmo e la freschezza del libro, ne estrarremo le parti più importanti (tradotte in italiano e scritte in corsivo); le accompagneremo con immagini riprese da telescopi moderni per mostrare la grande precisione delle osservazioni galileiane, eseguite con uno strumento oggi considerato “ridicolo”; inseriremo alcuni disegni originali; commenteremo passo dopo passo lo scritto del sommo pisano evidenziandone le conclusioni corrette (molte) e quelle errate (poche); quando necessario, aggiungeremo note più tecniche relative alle immagini. Sarà sicuramente una lettura entusiasmante e piena di sorprese, conosciuta da pochi e ricca di spunti di riflessione. Forse vi farà anche venire voglia di accostarvi maggiormente alla visione del Cielo …

Sidereus_Nuncius_1610.GalileoLa dedica
… Ecco dunque quattro stelle dedicate al vostro nome illustre, ma non scelte tra quelle fisse, numerose e servili, ma nella schiera dei pianeti. A voi ho riservato quelle che con movimento differente e veloce compiono l’orbita attorno a Giove, stella nobilissima, ed insieme ad essa, con mirabile concordia, compiono il giro intorno al centro del mondo, il Sole, in dodici anni. Quando le scoprii sotto i vostri auspici, serenissimo Cosimo, ancora ignote a tutti gli astronomi precedenti, con ragione decisi di insignirle con l’augusto nome della vostra Casa. Essendo stato io il primo ad averle studiate, chi mai potrà riprendermi se imporrò ad esse il nome di ASTRI MEDICEI? …
Anche Galileo doveva mangiare. Il suo dono al serenissimo Cosimo trasuda di rispetto, deferenza ed ossequio. E non dona al Signore di Firenze una “cosa” qualsiasi, ma “quelle che con movimento differente e veloce compiono l’orbita attorno a Giove, stella nobilissima …”. E’ ovvio: anche il suo dono deve essere nobile come chi lo riceve. E poi il finale: “chi mai potrà accusarmi di essere stato troppo generoso? I satelliti sono miei e ne faccio quello che voglio!” E’ quasi commovente l’umanità che se ne evince.

Le scoperte
… Grande cosa è stata aggiungere alla immensa moltitudine delle stelle fisse, visibili fino ad oggi ad occhio nudo, altre innumerevoli, mai prima osservate, il cui numero supera più di dieci volte quello delle conosciute …
… Bellissima e piacevole cosa è stato anche vedere il corpo della Luna, lontano da noi quasi sessanta raggi terrestri, così vicino come se si trovasse a soli due raggi. In tal modo il diametro di essa appariva trenta volte, la superficie novecento, ed il volume quasi ventisettemila volte più grande di quanto non si vedesse ad occhio nudo. Attraverso questa esperienza chiunque noterebbe che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra ed ineguale e, proprio come la Terra, piena di sporgenze, cavità ed anfratti …
… Ma quello che supera ogni possibile meraviglia è stato aver scoperto quattro astri erranti, da nessuno mai visti precedentemente, che come Venere e Mercurio attorno al Sole, ruotano attorno ad un astro tra i più grandi conosciuti, ora precedendolo, ora inseguendolo, senza mai allontanarsene più di una breve distanza ben delimitata …”

Il cannocchiale
… Circa dieci mesi fa mi giunse notizia che un certo Fiammingo aveva costruito un “occhiale” attraverso il quale oggetti molto lontani e confusi si vedevano molto vicini e distinti. Questa cosa mi venne confermata dopo pochi giorni dal nobile francese Iacopo Badovere di Parigi. Ciò fu causa della mia disperata volontà di ottenere uno strumento analogo, che riuscii a costruire basandomi sulla teoria della rifrazione luminosa. Preparai un tubo di piombo alle cui estremità inserii due lenti, entrambe piane da una parte e dall’altra una convessa e una concava. Posto l’occhio dalla parte concava vidi gli oggetti tre volte più vicini e nove volte più grandi di quanto potessi fare ad occhio nudo. Poi ne costruii uno più accurato che mi permise di vedere gli oggetti ingranditi sessanta volte. Infine, senza risparmiare fatica e spese, riuscii a realizzare uno strumento eccezionale, con il quale arrivai a vedere le cose trenta volte più vicine e mille volte più grandi che viste ad occhio nudo …”

Questo esemplare è uno degli unici due cannocchiali esistenti certamente di Galileo. Rivestito in pelle con dorature impresse a caldo, lo strumento fu donato a Cosimo II subito dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius (19 marzo 1610). Vetro, legno, pelle; lunghezza 92 cm, diametro 6 cm Firenze, Istituto e Museo di Storia della Scienza

Questo esemplare è uno degli unici due cannocchiali esistenti certamente di Galileo. Rivestito in pelle con dorature impresse a caldo, lo strumento fu donato a Cosimo II subito dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius (19 marzo 1610). Vetro, legno, pelle; lunghezza 92 cm, diametro 6 cm Firenze, Istituto e Museo di Storia della Scienza

Anche se forse non fu proprio il primo a costruirlo, Galileo ama il suo gioiello quasi fisicamente. Sa che deve migliorarlo in tutti i modi e lo fa con grande fatica sia fisica che finanziaria.

I satelliti di Giove
… Descriverò adesso le osservazioni dei quattro PIANETI da me scoperti e mai visti prima d’ora dal principio del mondo e darò notizie delle loro posizioni, mutamenti, movimenti, invitando tutti gli astronomi a studiare e definire i loro periodi che finora non riuscii a stabilire per la limitatezza del tempo avuto a disposizione (due mesi soltanto). Ricordo però che per compiere queste osservazioni è necessario utilizzare un cannocchiale “esattissimo” come quello di cui parlai all’inizio …
Importantissimo brano per comprendere il carattere di Galileo e la sua emozione di fronte ad un nuovo Universo che gli si apre improvvisamente davanti agli occhi. Innanzitutto l’orgoglio non molto velato (“mai visti prima d’ora dall’inizio del mondo”), poi il suo caloroso invito a seguirlo nella conquista del Cosmo senza paure o remore (“invitando tutti gli astronomi”) ed infine la sua ammirazione per lo strumento da lui creato, ma anche la paura che le sue potenzialità non vengano adeguatamente comprese se riprodotto senza la necessaria abilità (“è necessario utilizzare un cannocchiale esattissimo”).”

La scoperta
“… Il giorno sette gennaio, dunque, dell’anno milleseicentodieci, a un’ora di notte, mentre col cannocchiale osservavo gli astri mi si presentò Giove; poiché avevo preparato uno strumento eccellente, vidi (e ciò prima non mi era accaduto per la debolezza dell’altro strumento) che intorno gli stavano tre stelle piccole ma luminosissime; sebbene le credessi fisse, mi destarono una certa meraviglia, perché apparivano disposte esattamente secondo una linea retta e parallela all’eclittica, e più splendenti delle altre di grandezza uguale alla loro. Esse e Giove erano in questo ordine:

satelliti Medicei-280708_2132T

cioè due stelle erano ad oriente ed una ad occidente. La più orientale e l’occidentale apparivano un po’ maggiori dell’altra. Non mi curai minimamente della loro distanza da Giove, perché, come ho detto, le avevo credute fisse. Quando, non ne so nemmeno il motivo, mi rivolsi di nuovo alla medesima indagine il giorno otto, vidi una disposizione ben diversa: le tre stelle infatti erano tutte ad occidente rispetto a Giove, e più vicine tra loro che la notte antecedente e separate da eguali intervalli, come mostra il disegno seguente:

satelliti medicei-290708_2133TC’è da rimanere estasiati di fronte alla semplicità, il rigore, l’emozione che scaturisco da queste poche righe. Galileo si accorge di avere fatto una scoperta epocale, ma cerca di mantenere la calma e non rigetta subito l’ipotesi di trovarsi di fronte a delle stelle fisse (quindi niente di speciale) ma non può non esprimere il suo dubbio in proposito (“disposte esattamente lungo una linea retta e parallela all’eclittica”). Mente sicuramente quando dice: “non so nemmeno il motivo, mi rivolsi di nuovo alla stessa indagine…”. Sicuramente non vedeva l’ora di riosservare quelle strane stelle la notte dopo!

A questo punto vale la pena di fare una breve constatazione. Nel corso dei secoli sono state molte le speculazioni riguardo alle capacità osservative di Galilei. In particolare ci si è chiesti come mai le osservazioni dei satelliti medicei siano state tanto accurate mentre al contrario i disegni lunari mostravano una certa approssimazione. In realtà se si analizzano accuratamente le posizioni dei satelliti si scopre che anche queste osservazioni sono abbastanza approssimative. In diversi casi il Nostro non riuscì a vedere distinti i satelliti quando erano piuttosto vicini tra loro oppure quando qualcuno era alla massima elongazione dal pianeta. Queste limitazioni sono dovute ad almeno due grandi cause: lo scarso potere risolutivo del telescopio usato, dovuto sia al ridotto diametro, sia alle pesanti aberrazioni presenti nella lente principale e negli oculari, oltre che al modesto campo di vista. E’ facile verificare che con un moderno binocolo si riesce ad osservare una zona ampia diversi gradi, ma è sufficiente utilizzare un piccolo rifrattore a lunga focale per vederlo ridursi drasticamente. Inoltre un normale binocolo è oggi in genere di gran lunga più corretto dei cannocchiali galileiani per cui è difficile rendersi conto delle difficoltà incontrate dal grande scienziato pisano. Anzi, rileggere le sue descrizione e le sue considerazioni è tuttora uno straordinario esempio di grande Scienza ed in particolare di grandissime capacità osservative e deduttive.

satelliti Medicei-060808_2208Tsatelliti medicei-210708_2221TLo stupore
“… A questo punto, non pensando assolutamente allo spostamento delle stelle, cominciai a chiedermi in qual modo Giove si potesse trovare più ad oriente di quelle stelle fisse, quando il giorno prima era ad occidente rispetto a due di esse. Ed ebbi il dubbio che Giove si muovesse ben diversamente da quanto descritto dai calcoli astronomici, ed avesse col proprio moto oltrepassato le tre stelle. Per questo aspettai con grande ansia la notte successiva. Purtroppo il cielo coperto di nubi mi precluse l’osservazione. Ma il giorno dieci le stelle mi apparvero in questa posizione rispetto a Giove:

satelliti medicei-130808_2249T_ombra

cioè ve n’erano due soltanto, ed entrambe orientali: la terza, come immaginai subito, era nascosta da Giove.
Lo stupore c’è davvero. Ma non siamo del tutto sicuri che Galileo pensasse veramente ad un movimento imprevisto di Giove che avrebbe distrutto le teorie in cui credeva ciecamente. Sapeva già di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo ed aveva quasi paura della sua eccezionale scoperta. Voleva esserne sicuro e non illudersi troppo presto (di nuovo esce la sua grande freddezza e precisione), ma questa volta non riesce a nascondere l’impazienza di tornare al suo cannocchiale. Quando ci riesce non ha alcun problema a pensare subito che “la terza stella” non visibile sia nascosta dal pianeta. Aveva già capito tutto, ma aspettava la prova definitiva.

La spiegazione
“… Erano sempre lungo la stessa direzione rispetto a Giove, e lungo la linea dello Zodiaco. Quando mi accorsi di questo compresi che simili spostamenti non potevano in alcun modo essere attribuiti a Giove, sapendo inoltre che le stelle osservate erano sempre le stesse (non vi erano altre stelle di pari luminosità lungo un notevole tratto della linea dello Zodiaco, sia prima che dopo). Mutando la perplessità in meraviglia, compresi che l’apparente mutazione non era di Giove ma delle stelle da me scoperte; e per questo pensai di dovere da allora in poi osservare il fenomeno attentamente, scrupolosamente ed a lungo …
Ogni reticenza cade e la spiegazione fluisce senza tentennamenti. Probabilmente il cambiamento da “perplessità a meraviglia” era già avvenuto nel suo intimo. Riesplode l’orgoglio, più che giustificato: “la mutazione … era delle stelle da me scoperte”. E chi mai poteva dubitare che Galileo avesse già deciso di continuare a studiare il suo fenomeno con attenzione e per molto tempo?
… Dopo pochi giorni capii anche che le stelle che compivano i loro giri attorno a Giove non sono erano solo tre, ma quattro. Misurai anche le loro reciproche distanze, annotai tutte le ore delle osservazioni, soprattutto quando ne feci molte in una stessa notte. Infatti le rivoluzioni di questi pianeti sono così veloci che spesso si notano differenze anche orarie …
L’emozione e la gioia dell’uomo lasciano nuovamente il posto alla precisione, al rigore ed allo scrupolo dello scienziato.

satelliti medicei-120808_2214TLe conclusioni
… Queste sono le osservazioni dei quattro Astri Medicei da me scoperti recentemente e per la prima volta, sulle quali, pur non essendo ancora possibile dedurre i loro periodi, si deducono già importanti conclusioni. In primo luogo, poiché talvolta seguono e talvolta precedono Giove ad intervalli uguali e si allontanano da esso solo per un breve tratto, sia ad oriente che a occidente, accompagnandolo sia nel suo moto retrogrado che in quello diretto, a nessuno può nascer dubbio che non compiano attorno a Giove le loro rivoluzioni e, nello stesso tempo, effettuino tutti insieme il loro giro intorno al centro del mondo in un periodo di dodici anni ..”
La spiegazione è precisa, attenta ed esauriente, permeata nuovamente di orgoglio (“da me scoperti”). Ed alla fine quasi accusa di stupidità chiunque osi confutargli la sua interpretazione.

Una nuova visione dell’Universo
“… Notai anche che sono più veloci le rivoluzioni dei pianeti che descrivono orbite più strette intorno a Giove. infatti le stelle più vicine a Giove spesso si vedevano orientali mentre il giorno prima erano apparse occidentali, e viceversa, mentre invece il pianeta che descrive l’orbita maggiore, ad un accurato esame, mostrava aver periodo semimensile. Ho ottenuto quindi un valido ed eccellente argomento per togliere ogni dubbio a coloro che, accettando tranquillamente nel sistema di Copernico la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, sono ancora turbati dal fatto che solo la Luna giri intorno alla Terra, mentre entrambi compiono ogni anno la loro rivoluzione attorno al Sole, sì da ritenere per tale motivo che si debba rigettare come impossibile l’intera struttura eliocentrica dell’universo. Ora, infatti, non abbiamo un solo pianeta che gira intorno a un altro (la Luna attorno alla Terra) mentre entrambi percorrono la grande orbita intorno al Sole, ma ben quattro stelle erranti fanno lo stesso attorno a Giove ed insieme al grande pianeta, completano la loro ampia orbita attorno al Sole in un periodo di dodici anni …”
Galileo pone l’accento sulla parte fondamentale della sua scoperta, di valenza non solo scientifica. Non solo la Terra ha un satellite, ma anche Giove, ed addirittura quattro. Questo non solo distrugge definitivamente le vecchie teorie geocentriche, ma leva ogni dubbio a chi ancora tentennava vedendo che il nostro pianeta era il solo ad avere il privilegio di una Luna tutta sua. La breve descrizione e le ferme e chiare conclusioni di Galileo fanno nascere la nuova visione dell’Universo, che aprirà in breve le porte all’astrofisica moderna.

L’atmosfera di Giove
“…Ed infine non bisogna tacere il motivo per cui gli Astri Medicei sembrano talvolta più grandi del doppio, mentre compiono attorno a Giove le loro piccolissime rivoluzioni. Certo la causa non risiede nei vapori terrestri, perché mentre essi appaiono più grandi e più piccoli Giove e le vicine stelle fisse si vedono invece immutati. Ed è anche impossibile che si allontanino così tanto dalla Terra nel loro apogeo e tanto le si avvicinino nel loro perigeo da causare un tale cambiamento: una stretta rotazione circolare non può in alcun modo produrre un simile effetto. Dato che non solo la Terra ma anche la Luna è circondata da vapori, possiamo ragionevolmente credere che la stessa cosa avvenga sugli altri pianeti, e quindi accettare che vi sia un involucro più denso del rimanente etere anche attorno a Giove. I Pianeti Medicei, con l’interposizione di questo involucro più denso, all’apogeo sembrano minori, mentre al perigeo maggiori per la mancanza o quantomeno l’attenuazione dell’involucro stesso …”
Non tutto è esatto in questa spiegazione, soprattutto nel richiamo all’atmosfera della Luna. E’ esatto invece il ragionamento che esclude la componente atmosferica terrestre ed il fatto che le orbite dei satelliti medicei devono essere molto piccole attorno a Giove rispetto alla distanza dalla Terra.

Giove-01_08_08

giove-02-05-05-2036UT-rgb-copy

La reale atmosfera di Giove vista oggi con un telescopio di 21 cm di apertura. Le grandi bande equatoriali sono i dettagli più appariscenti del gigante gassoso; se osservate con telescopi di elevata qualità, soprattutto sotto cieli con ottima trasparenza, rilevano una messe di particolari (gli ovali, le bande equatoriali piuttosto movimentate, i festoni e la Grande Macchia Rossa) spesso notevolmente variabili anche su scale temporali relativamente corte.

giove-17-01-2004-203ut-Rgb40-ganymede

Preistorica ripresa acquisita con una banale webcam nell’ormai lontano 2004

giove Celestron 14" @ PGR Flea3.  Damian Peach

L’enorme salto qualitativo ottenuto grazie a ottiche specializzate, nuovi rivelatori, e sofisticate tecniche di elaborazione delle immagini. Celestron 14″ @ PGR Flea3.
Damian Peach

This NASA/ESA Hubble Space Telescope image shows a gorgeous close-up view of the planet Jupiter. Astronomers were using Hubble to monitor changes in Jupiter's immense Great Red Spot (GRS) storm. During the exposures, on 21 April 2014, the shadow of the Jovian moon Ganymede swept across the center of the GRS. Giving the giant planet the uncanny appearance of having a pupil in the center of a 16 000 kilometre wide eye.

This NASA/ESA Hubble Space Telescope image shows a gorgeous close-up view of the planet Jupiter.
Astronomers were using Hubble to monitor changes in Jupiter’s immense Great Red Spot (GRS) storm. During the exposures, on 21 April 2014, the shadow of the Jovian moon Ganymede swept across the center of the GRS. Giving the giant planet the uncanny appearance of having a pupil in the center of a 16 000 kilometre wide eye.

This "family portrait," a composite of the Jovian system, includes the edge of Jupiter with its Great Red Spot, and Jupiter's four largest moons, known as the Galilean satellites. From top to bottom, the moons shown are Io, Europa, Ganymede and Callisto. The Great Red Spot, a storm in Jupiter's atmosphere, is at least 300 years old. Winds blow counterclockwise around the Great Red Spot at about 400 kilometers per hour (250 miles per hour). The storm is larger than one Earth diameter from north to south, and more than two Earth diameters from east to west. In this oblique view, the Great Red Spot appears longer in the north-south direction. Europa, the smallest of the four moons, is about the size of Earth's moon, while Ganymede is the largest moon in the solar system. North is at the top of this composite picture in which the massive planet and its largest satellites have all been scaled to a common factor of 15 kilometers (9 miles) per picture element. The Solid State Imaging (CCD) system aboard NASA's Galileo spacecraft obtained the Jupiter, Io and Ganymede images in June 1996, while the Europa images were obtained in September 1996. Because Galileo focuses on high resolution imaging of regional areas on Callisto rather than global coverage, the portrait of Callisto is from the 1979 flyby of NASA's Voyager spacecraft.

This “family portrait,” a composite of the Jovian system, includes the edge of Jupiter with its Great Red Spot, and Jupiter’s four largest moons, known as the Galilean satellites. From top to bottom, the moons shown are Io, Europa, Ganymede and Callisto. The Great Red Spot, a storm in Jupiter’s atmosphere, is at least 300 years old. Winds blow counterclockwise around the Great Red Spot at about 400 kilometers per hour (250 miles per hour). The storm is larger than one Earth diameter from north to south, and more than two Earth diameters from east to west. In this oblique view, the Great Red Spot appears longer in the north-south direction. Europa, the smallest of the four moons, is about the size of Earth’s moon, while Ganymede is the largest moon in the solar system. North is at the top of this composite picture in which the massive planet and its largest satellites have all been scaled to a common factor of 15 kilometers (9 miles) per picture element. The Solid State Imaging (CCD) system aboard NASA’s Galileo spacecraft obtained the Jupiter, Io and Ganymede images in June 1996, while the Europa images were obtained in September 1996. Because Galileo focuses on high resolution imaging of regional areas on Callisto rather than global coverage, the portrait of Callisto is from the 1979 flyby of NASA’s Voyager spacecraft.

Conclusioni
Quale miglior regalo si poteva fare al proprio “mecenate”? Sicuramente Galileo non riusciva ancora a rendersi conto della po rtata immensa delle sue scoperte. Aveva definitivamente distrutto la visione stereotipata, immutabile e rigida dell’Universo ed aveva offerto al suo Signore ed alla conoscenza dell’uomo un bene inimmaginabile.
Le foto del presente capitolo sono state tutte eseguite da uno degli autori  attraverso strumentazione amatoriale. Eppure le immagini, sia per la moderna tecnologia sia per l’utilizzo di raffinate elaborazioni al computer, sono enormemente più nitide e precise delle lontane osservazioni galileiane. Ma cosa avrebbe saputo fare Galileo se fosse nato al giorno d’oggi?

Domenico Licchelli, Vincenzo Zappalà

Per saperne di più:

Il Genio di Martano e le farfalle del mare – Omaggio a Salvatore Trinchese – Domenico Licchelli

Gli appassionati di documentari sulla vita nel mare e, soprattutto, quanti si dedicano all’attività subacquea per osservarla e fotografarla rimangono senz’altro affascinati dall’incontro con degli strani animaletti, che assomigliano alle lumache senza conchiglia dei giardini, ma a differenza di queste hanno disegni e colorazioni fantastiche, ancora di più messe in evidenza dalla presenza, sui fianchi o sul dorso, di ciuffi di appendici che fluttuano nell’acqua contribuendo alla straordinaria eleganza di movimento dei loro proprietari.

Sono i nudibranchi, “lumache” marine come i Murici, le Cipree e i Coni che, a differenza di questi, hanno rinunciato alla conchiglia e respirano anche attraverso i ciuffi di appendici, dette papille.

I nudibranchi fanno parte dei molluschi Opistobranchi (da opisten = posteriore e branchion = branchie), una sottoclasse dei Molluschi Gasteropodi, cui appartengono appunto Murici, Cipree e Coni oltre a tanti altri dotati di conchiglia, che a loro volta costituiscono una delle classi del grande tipo dei Molluschi, che comprende anche i più noti Polpi, Calamari e Seppie.

Gli Opistobranchi hanno suscitato l’interesse scientifico di alcuni tra i più famosi biologi dell’Ottocento, anche italiani e tra questi due di particolare interesse per il nostro spigolare nel patrimonio scientifico salentino: Achille Costa, figlio di Oronzo Gabriele di cui abbiamo già parlato, e Salvatore Trinchese.

Salvatore Trinchese

Salvatore Trinchese

La biografia di Salvatore Trinchese, nato a Martano, in provincia di Lecce, nel 1836 e morto a Napoli nel 1897, è quella di un grande nel panorama della biologia ottocentesca. Infatti subito dopo la laurea in medicina, conseguita nel 1860 a Pisa dopo aver concluso brillantemente gli studi presso il Collegio S. Giuseppe di Lecce, egli ottenne una borsa di studio per il perfezionamento all’estero in scienze naturali che portò a termine a Parigi frequentando i più prestigiosi laboratori del momento.

Durante quel periodo egli definì i campi di ricerca cui avrebbe dedicato la sua attività futura e tra questi un posto preminente avrebbero avuto gli studi sulla struttura e la fisiologia dei Molluschi Gasteropodi con particolare attenzione agli Opistobranchi, tanto che Riccardo Cattaneo-Vietti così scrive nel volume celebrativo pubblicato nel 1989 a cura di Guido Cimino per conto della Biblioteca Civica di Martano:

“La ricerca scientifica di Salvatore Trinchese si intreccia indissolubilmente con la storia naturale di un poco conosciuto, ma interessante, gruppo di Molluschi: i Gasteropodi opistobranchi.

Chiamato alla direzione del Museo di Storia Naturale dell’Università di Genova nel 1865 in qualità di professore straordinario, inizia in questa città ad occuparsi di questi Molluschi marini che, con la collaborazione di Clemente Biasi, raccoglie lungo le scogliere della costa genovese. Trasferitosi prima a Bologna e successivamente presso l’Università napoletana, continua a studiare questo gruppo praticamente fino alla morte…

L’attenzione di Trinchese si rivolge a quegli Opistobranchi che presentano sul dorso una serie di papille, chiamate cerata, nelle quali spesso si inseriscono i diverticoli epatici e che talvolta hanno anche funzione respiratoria. Questo sottogruppo, allora genericamente riunito sotto il nome di Eolididi, è formato da almeno due diversi ordini di Opistobranchi, gli Ascoglossa e i Nudibranchia.”

Nelle sue ricerche sulla struttura dei vari organi dei molluschi e sulle loro funzioni Trinchese sfrutta sapientemente la sue notevoli doti di microscopista, ma non trascura i problemi riguardanti la classificazione, giungendo a proporre nuovi generi e nuove specie, alcuni dei quali hanno ricevuto conferma dagli studi successivi.

Per sottolineare la grande importanza degli studi condotti da Trinchese così continua Cattaneo-Vietti:

“In alcuni suoi lavori vengono anche riportate informazioni sulla frequenza delle varie specie in determinate aree (ad esempio lungo il litorale genovese); e ciò è molto importante per comprendere come si è modificata la situazione ambientale negli ultimi cent’anni lungo le coste mediterranee per effetto dell’antropizzazione del litorale. Molte specie segnalate da Trinchese sono diventate oggi rare, probabilmente a causa delle modificazioni avvenute nell’orizzonte superiore del piano infralitorale, come già mise in evidenza Haefelfinger (1963).…

Purtroppo il fatto che abbia pubblicato in lingua italiana è stato un serio impedimento alla diffusione e comprensione della sua opera.”

I risultati di 25 anni di ricerche condotte da Trinchese sui molluschi tra Genova e Napoli sono contenuti in 46 pubblicazioni, e l’opera principale porta il titolo Aeolididae e famiglie affini del porto di Genova, illustrata con 115 tavole prevalentemente a colori fatte di sua mano, pubblicata in due parti nel 1877 e nel 1881, che conseguì il premio reale dell’Accademia dei Lincei (alcune sono riportate di seguito).

Per comprendere la passione da lui posta nello studio di questi Molluschi basta leggere come lui si rivolge al lettore della sua opera:

“I naturalisti che studiarono prima di me l’interessante famiglia delle Aeolididae, o non si curarono di rappresentarle o le rappresentarono in modo rozzo e infedele. Se si eccettuano alcuni schizzi veramente belli di C. Semper e di Alder e Hanckoc, si può affermare, senza pericolo di dare nell’esagerato, che tutte le figure di Aeolididae pubblicate dai miei predecessori sono affatto inutili. Si desiderano in esse quei caratteri di forma e di colore che guidano con sicurezza il naturalista nel riconoscere le specie. Per mettere in evidenza siffatti caratteri, ho rappresentato uno o due individui di ogni specie come li vedevo osservandoli col microscopio binoculare di Nachet. Tenendo presenti le mie figure, il mio inserviente determina le specie colla sicurezza d’un zoologo provetto. Ciò nonostante, esse non si possono dire veramente belle, poiché non ritraggono con pari fedeltà i colori. L’azzurro di queste creature è zaffiro orientale, il giallo è oro di coppella e il bianco neve intatta ripercossa dai raggi del sole. I loro colori hanno un non so che di vivo, di animato, di luminoso che noi non possiamo ritrarre fedelmente colle smorte tinte delle nostre tavolozze. I colori delle farfalle e delle paradisee sono certamente splendidi, ma non hanno il fascino di quelli veduti attraverso un velo d’acqua salata.

Le Aeolididae pur ora tolte dal mare, sono una delle più splendide manifestazioni del bello; ma tenute in cattività negli acquari, perdono in breve la vivacità dei loro colori.”……..

(estratto da Non solo Barocco)

trinchese-01t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-02t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-03t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-04t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-08t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-10t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-12t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-13t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

trinchese-14t

Molluschi Aeolididei del porto di Genova. Tavole opera di Salvatore Trinchese. Cortesia Dott. Lorenzo Carlino

Ai giorni nostri la possibilità di portare sott’acqua attrezzature fotografiche sofisticate, corredate di obiettivi e lenti specifiche, consente ai fotografi subacquei la documentazione fedele della straordinaria bellezza delle varie specie di nudibranchi presenti nei siti di immersione. Abbiamo perciò la possibilità di comprendere ed apprezzare lo straordinario lavoro di Salvatore Trinchese direttamente sul campo.

Nel Mediterraneo si conoscono 272 specie di nudibranchi, molte delle quali descritte solo negli ultimi decenni. Ancora oggi se ne scoprono di nuove e si rivedono le classificazioni grazie soprattutto all’utilizzo delle tecniche di analisi molecolare.

La ricerca e la documentazione degli opistobranchi salentini sta diventando sempre più una delle attività preferite dai membri dell’Associazione Culturale Salento Sommerso. Negli anni abbiamo documentato la presenza di parecchie decine di specie già note e segnalato altre di cui non se conosceva ancora la presenza nelle nostre acque (sono in preparazione alcuni lavori al riguardo che pubblicheremo a breve su riviste specializzate del settore).

Ma quali sono le caratteristiche che rendono così affascinanti questi straordinari animaletti?

T.E.Thompson scrisse che “Gli opistobranchi stanno ai molluschi come le orchidee alle angiosperme e le farfalle agli artropodi”

A differenza di molti dei loro viscidi omologhi terrestri i nudibranchi sono creature incredibilmente belle! Se si ha la fortuna di avvistarne uno mentre striscia sul fondo o abbarbicato su qualche cespuglio di idrozoi, basta osservarlo per qualche minuto per capire perché molti scienziati e fotografi subacquei sono affascinati da queste creature delicate e graziose, non a caso definite le farfalle del mare.

Cratena peregrina alla ricerca di colonie di Eudendrium di cui si nutre

Cratena peregrina alla ricerca di colonie di Eudendrium di cui si nutre

I nudibranchi sono molluschi gasteropodi, appartengono cioè allo stesso phylum che comprende molte conchiglie che si possono rinvenire lungo le spiaggie dopo una mareggiata. Contrariamente a queste, però, i nudibranchi hanno evoluto un aspetto del corpo molto diverso in quanto il loro stile di vita non richiede più di circondarsi di un guscio protettivo, come vedremo più avanti. Il corpo è morbido e carnoso, si muovono facendo leva su un lungo piede muscolare (in modo simile alle lumache di terra) ed hanno delle appendici cefaliche dette rinofori che usano con funzione tattile e per percepire segnali chimici dall’ambiente circostante.

 Felimare picta o doride dipinto, un colosso tra i nudibranchi potendo raggiungere i 20cm di lunghezza

Felimare picta o doride dipinto, un colosso tra i nudibranchi potendo raggiungere i 20cm di lunghezza

Esemplare di discrete dimensioni di Felimida purpurea

Esemplare di discrete dimensioni di Felimida purpurea

Alcuni nudibranchi hanno sulla schiena, verso la zona posteriore del corpo, un folto gruppo di branchie che usano per la respirazione e che possono essere ritratte (Doridini). Altri hanno strutture tentacolari su tutto il corpo, sempre esposte, dette cerata, che sono utilizzate sia per la respirazione che per la difesa e che contengono anche rami del tratto digestivo (Aeolidini).

Juvenile di Felimare picta con in primo piano il ciuffo branchiale

Juvenile di Felimare picta con in primo piano il ciuffo branchiale

Coppia di Coryphella pedata intente a cibarsi di idrozoi del genere Eudendrium

Coppia di Flabellina pedata intente a cibarsi di idrozoi del genere Eudendrium. Gli evidenti cerata terminano con le punte bianche

IMG_08967_GalPor_2012_II_15_nott_m

Splendido esemplare di Dondice banyulensis in atteggiamento difensivo con i cerata sollevati

Bell'esemplare di Felimare tricolor. Sono evidenti i rinofori, il ciuffo branchiale e lapertura genitale

Bell’esemplare di Felimare tricolor. Sono evidenti i rinofori, il ciuffo branchiale e l’apertura genitale

Vivono sui fondali di tutto il mondo sotto la zona intertidale, da pochi centimetri dalla superficie fino a 15-20 metri ed oltre. Scivolano usando il loro piede muscolare su sedimenti, alghe, rocce, spugne, coralli e altri substrati, spesso adottando colorazioni e textures simili a quelle di tali substrati al fine di ottenere una mimetizzazione molto efficace. Se si tiene conto poi che per quasi tutte le specie mediterranee le dimensioni sono dell’ordine del cm, è evidente che si richiede al fotografo ed al naturalista che li cercano un grande spirito di osservazione ed una pazienza infinita.

Platydoris argo ben mimetizzati sul fondale

Platydoris argo ben mimetizzati sul fondale

I nudibranchi sono carnivori e si nutrono di ogni sorta di creature (idroidi, tunicati, spugne, anemoni, solo per citarne alcuni) e talvolta anche di altri nudibranchi. All’interno dell’apparato boccale hanno una particolare struttura dentata, chiamata radula, specializzata per un certo tipo di alimento, che ne costituisce un importante elemento di differenziazione (anche se a volte non sufficiente per una corretta classificazione tassonomica).

Flabellina ischitana intenta a predare i polipi di un idroide del genere Eudendrium (Eudendrium racemosum)

Flabellina ischitana intenta a predare i polipi di un idroide del genere Eudendrium (Eudendrium racemosum)

Poiché i nudibranchi non hanno guscio protettivo, hanno bisogno di altri tipi di protezione dai potenziali predatori. Essi adottano varie strategie: alcuni si mimetizzano perfettamente con il substrato, altri al contrario esibiscono colori molto vivaci e ben visibili ai predatori per avvertirli della loro tossicità (colorazione aposematica). Quest’ultima è così efficiente che viene adottata anche da molti vermi piatti come i Platelminti che, ad una prima occhiata, possono essere scambiati per nudibranchi (la forma del corpo però svela immediatamente che si tratta di un travestimento).

 Cuthona caerulea, un gioiello concentrato in pochi millimetri

Cuthona caerulea, un gioiello concentrato in pochi millimetri

Prostheceraeus giesbrechtii, appartenente al phylum dei platelminti, o vermi piatti. Sono un ottimo esempio di mimetismo batesiano, nel senso che imitano le colorazioni dei tossici nudibranchi per evitare di essere predati

Prostheceraeus giesbrechtii, appartenente al phylum dei platelminti, o vermi piatti. Sono un ottimo esempio di mimetismo batesiano, nel senso che imitano le colorazioni dei tossici nudibranchi per evitare di essere predati

Thuridilla hopei. Anche se potrebbe sembrare a prima vista un nudibranco in realtà è un opistobranco sacoglosso

Thuridilla hopei. Anche se potrebbe sembrare a prima vista un nudibranco in realtà è un opistobranco che appartiene all’ordine dei sacoglossi

Alcuni nudibranchi possono anche secernere sostanze chimiche tossiche o acide quando sono disturbati. Gli Aeolidini poi, che si nutrono di cnidari, un gruppo che comprende anemoni, coralli e idroidi, hanno sviluppato un’altra incredibile abilità. Gli cnidari posseggono speciali cellule urticanti a forma di arpione, dette nematocisti, che utilizzano a scopo difensivo. I nudibranchi Aeolidini riescono a cibarsene senza causare l’attivazione delle nematocisti per poi trasferirle fino alle punte dei cerata dove, conservandole in apposite strutture dette cnidosacchi, diventano un efficace meccanismo di difesa acquisito.

I nudibranchi sono tutti ermafroditi simultanei, possiedono cioè sia gli organi riproduttivi maschili che femminili, con le aperture genitali sul lato destro. In certi periodi non è raro assistere a fecondazioni incrociate che portano al rilascio di masse di uova, di solito a forma di spirale o di nastri arrotolati, generalmente deposte in prossimità o direttamente sull’animale di cui si nutrono.

Felimida krohni in fase riproduttiva. Le dimensioni dei due esemplari sono inferiori al cm

Felimida krohni in fase riproduttiva. Le dimensioni dei due esemplari sono inferiori al cm

I loro cicli vitali sono legati a vari fattori ambientali tra cui la temperatura dell’acqua e, ovviamente, la disponibilità del loro alimento preferito ma, seppur con una grande variabilità, è possibile incontrare qualche esemplare delle varie specie durante tutto l’anno. II titolo di presenzialista spetta alla Peltodoris atromaculata o vacchetta di mare, facilmente visibile sulla spugna Petrosia ficiformis di cui si nutre avidamente. Nel coralligeno, in grotta e in tutti gli ambienti in cui vi è la spugna ospite, questo nudibranco è una presenza pressochè costante.

Coppia di Peltodoris atromaculata, dette anche vacchette di mare, intente nell'ovopositura

Coppia di Peltodoris atromaculata, dette anche vacchette di mare, intente nell’ovopositura. Notare la superficie biancastra della spugna Petrosia ficiformis messa a nudo dai nudibranchi con la loro radula

Per individuare buona parte degli altri nudibranchi è indispensabile adottare una filosofia di immersione da naturalisti, in cui l’osservazione minuziosa di ogni centimetro quadrato di fondale è il modus operandi più consono ed efficace. Il premio che si riceve, però, è l’osservazione nel loro habitat di alcune delle più spettacolari ed intriganti creature del mare, che non mancheranno di affascinare il subacqueo attento. E anche quando il manometro  imperiosamente lo costringerà a risalire in superficie, non vedrà l’ora di tornare sott’acqua per godere ancora una volta di una delle più splendide manifestazioni del bello, per dirla con le parole del grande Salvatore Trinchese.

Domenico Licchelli, Livio Ruggiero – 2014

Per saperne di più:

Il diagramma delle meraviglie (tratto da Il Gioco delle Stelle) – Vincenzo Zappalà

Copertina Gioco delle stelle..Se fossi vissuto qualche secolo fa, ciò che sto per dirvi mi avrebbe fatto sicuramente finire sul rogo. Oggi, invece, alcune considerazioni scientifiche poco “ortodosse” che sto per esprimere getterebbero una luce scarsamente professionale sulla mia persona. Sarei comunque “distrutto”. In fondo, però, mi sento scusato, dato che faccio tutto ciò solo e soltanto per dimostrare come il diagramma HR, mai abbastanza celebrato, sia la vera pietra di Rosetta dell’astrofisica, lo strumento più importante per la comprensione degli scopi e delle fasi creative ed evolutive delle stelle e, quindi, dell’intero Universo. Per comprendere meglio la straordinaria scoperta dei due scienziati (Ejnar Hertzsprung e Henry Norris Russell) e l’immensa ricaduta sull’evoluzione dell’intero Universo, è però necessario partire un po’ da lontano e risolvere (o tentare di risolvere) alcuni problemi ben più assillanti e misteriosi. In altre parole, dobbiamo sistemare alcuni concetti fondamentali………

…Siamo perciò giunti alla terza parte, quella decisiva, per la comprensione totale del più bel gioco dell’Universo…Finalmente abbiamo in mano le misure (più o meno accurate e più o meno numerose) delle famose quattro grandezze fondamentali. E’ ora di cercare di metterle a confronto, sfruttando anche le relazioni che ho, di tanto in tanto, mostrato.

Prima di tutto, fatemi fare una considerazione abbastanza personale, ma credo condivisibile. Molti potrebbero dire: “Non ci voleva una grande fantasia o intelligenza a cercare di legare tra loro i parametri stellari che cominciavano a essere disponibili attraverso osservazioni sempre più precise e numerose”. A posteriori hanno forse ragione, ma proviamo a metterci nei panni degli scienziati di fine ottocento. Grandi passi avanti per ciò che era la meccanica celeste (teoria facilmente verificabile nel sistema solare) e per la fisica teorica (anche se non vi erano i “mostri” del CERN). Per le stelle, invece (e ancor peggio per quelle strane nebulosità che si intravvedevano tra loro) si era proprio alla preistoria. Sì, c’era il Sole che poteva far capire qualcosa, ma ancora niente o quasi si sapeva degli infiniti puntini luminosi che brillavano nel cielo.

Proprio in quel periodo così importante per l’astrofisica sperimentale si mettono a punto due tecniche osservative importantissime e decisive: la fotografia e la spettroscopia. La prima evolverà poi nei sistemi di ricezione odierni ben più potenti, ma allora era l’unico metodo per entrare nelle profondità del cielo e poter raccogliere luce indipendentemente dalle caratteristiche del limitato occhio umano. Più si esponeva una lastra e più deboli e numerose erano le sorgenti luminose che si mostravano su quel pezzo di vetro cosparso di gelatina.

Ancora più importante era la spettroscopia, anche se molto rozza e primitiva. Essa permetteva di sezionare nei vari “colori” la luce bianca che giungeva a terra, capirne la somiglianza con il corpo nero e tutto ciò che abbiamo già raccontato.

Decisivo, però, è stato il passo che le osservazioni sempre più accurate potevano finalmente permettere. Già si sapeva come poter fare a calcolare la distanza di una stella relativamente vicina, ma restava teoria pura. A fine ottocento arrivarono i primi risultati seri e precisi. Pensate che prima di quel momento molti scienziati pensavano che le stelle avessero più o meno tutte la stessa luminosità (d’altra parte si conosceva solo il Sole) e che l’unico fatto che le faceva apparire di diversa luminosità era la distanza. Un bell’alibi anche per le teorie sulla fisica stellare: bastava studiare il Sole e poi determinare le distanze. Il cielo era pieno di tanti soli sparsi ovunque, tutto lì.

Questo fatto è molto importante per capire la scarsa conoscenza sperimentale e teorica delle stelle a fine ottocento: erano tutte uguali e forse la loro vita relativamente semplice. Ad esempio, si pensava che Sirio fosse la stella più vicina a noi, essendo la più luminosa.

Sirio e la costellazione cane maggiore

La costellazione del Cane Maggiore impreziosita dalla brillante Sirio

Quando si scoprì che la stella di Barnard era decisamente più vicina anche se appariva molto debole (25000 volte meno luminosa di Sirio), le cose cambiarono completamente. Si era, però, già nel 1916 o giù di lì. Sarebbe stato facile in quel momento cominciare a riguardare le proprietà osservative delle stelle e a pensarci sopra. Ma Russel e Hertzsprung lo avevano già fatto e avevano già indirizzato le ricerche per il futuro.

Ecco la loro grandezza e genialità: aver pensato a qualcosa prima che diventasse chiaro e facile. O, meglio, aver aperto gli occhi per la pianificazione delle ricerche successive che magari avrebbero preso altre direzioni e avrebbero ritardato la scoperta dell’evoluzione stellare.

Permettetemi un esempio in un campo completamente diverso, ma molto calzante (almeno per me). Oggi vi sono moltissimi pittori, anche di scarso valore artistico, capaci di disegnare un paesaggio, una serie di persone, uno scorcio cittadino, seguendo le regole della prospettiva. E’ una tecnica di dominio pubblico che necessita solo un po’ di concentrazione e di studio. Applicarla, invece, nei dipinti del primo quattrocento voleva dire essere dei geni assoluti e dei rivoluzionari totali. Masaccio, Piero della Francesca e i loro seguaci e coetanei hanno aperto una nuova strada nell’arte. Senza di loro forse non conosceremmo né Michelangelo né Leonardo. Chissà… qualcuno ci sarebbe senz’altro arrivato in seguito? Sicuramente sì, ma quando? Di certo la storia dell’arte sarebbe stata diversa. E così anche l’astrofisica senza Russel e Hertzsprung.

Intorno al 1910 si cominciò a pensare che le stelle si dividessero in due grandi categorie: quelle luminose, blu e calde e quelle deboli, rosse e fredde. Nessuno infatti aveva ancora trovato una stella debole e calda. Qualsiasi stella poco luminosa veniva, quindi, giudicata sicuramente anche fredda.

L’astronomo statunitense Henry Norris Russel decise di studiare più a fondo la questione e vedere come si comportavano le stelle con distanza conosciuta (e quindi di magnitudine assoluta nota). L’unico modo era di avere il maggior numero di informazioni sul colore e la temperatura degli astri. In poche parole, sul loro tipo spettrale. Russel si limitò, però alle stelle vicine e luminose, le uniche che permettevano allora una misura accurata della distanza. Era inutile ottenere spettri di oggetti lontani e/o deboli di cui non era possibile ricavare la lontananza. Una scelta pratica e inconfutabile.

Chiese, allora, a Edward Pickering di cercare, nel suo archivio, gli spettri di stelle aventi tali caratteristiche. In particolare chiese quello di una stella veramente speciale che aveva creato non poca confusione. Essa era la debole compagna di Omicron2 Eridani, chiamata appunto Omicron2 Eridani B. Insieme all’assistente Willamina Fleming, Pickering trovò quello che Russel cercava. La stella era estremamente debole ma di tipo spettrale A. Impossibile! Il tipo spettrale A era riservato a stelle caldissime, rappresentanti meno del 5% delle stelle di spettro conosciuto. La temperatura doveva aggirarsi intorno ai 9000 gradi, nettamente superiore a quella del Sole.

Come già sappiamo la luminosità varia con la quarta potenza della temperatura, il che vuole dire che se fosse stata grande come il Sole avrebbe dovuto essere incredibilmente brillante. Per poter ricevere un flusso luminoso intrinsecamente così potente, ma all’apparenza debolissimo, la luce doveva essere emessa da una superficie piccolissima (vedete come sono comode le formule che legano temperatura, luminosità e raggio? Niente da fare: la formula matematica permette di semplificare e di condensare discorsi lunghissimi e approssimativi. E’ proprio il linguaggio della fisica). La conclusione era una sola: Omicron2 Eridani B doveva essere una stella di esigue dimensioni, probabilmente non più grande della Terra!

Russel, Pickering e Fleming si erano imbattuti nella prima nana bianca e nella eccezionalità delle sue caratteristiche fisiche. In realtà il color “bianco” valeva solo per quella stella in particolare, dato che poi se ne trovarono di tutti i colori (cambiando la temperatura), dall’azzurro al giallo e al rosso, ma il nome rimase lo stesso per sempre.

L’interesse di Russel per i legami esistenti tra magnitudine assoluta, colore e temperatura divenne ancora più spasmodico e l’astronomo decise di mettere su un grafico le caratteristiche delle stelle di cui aveva chiesto lo spettro. In ordinata inserì la magnitudine assoluta (indipendente dalla distanza) e in ascissa il tipo spettrale o -alternativamente- l’indice di colore (anch’esso indipendente dalla distanza) che, come sappiamo (e sapevano), è legato alla temperatura effettiva del corpo nero corrispondente.

Russell, Nature, 93, 252 (1914)

Il diagramma originale di Russel, pubblicato nel 1913. Si noti la prima piccola, isolata, caldissima, nana bianca – Nature, 93, 252 (1914)

Russel pubblicò il suo grafico nel 1913. Esso divenne immediatamente popolare e considerato il modo migliore per rappresentare in un sol colpo l’intera popolazione stellare. Il nome rimase “diagramma di Russel” finchè non si venne a conoscenza che già nel 1911 l’astronomo danese Ejnar Hertzsprung aveva pubblicato un grafico analogo su una sconosciuta rivista che nessuno aveva praticamente letto. Con grande onestà scientifica (a volte gli studiosi sanno dare piccole lezioni di umiltà e di correttezza) il nome del diagramma divenne di Hertzsprung-Russel, con il nome del danese per primo. Ormai si parla di questo metodo di rappresentazione come del diagramma HR.

Non tutto lo spazio era occupato e vi era una chiara linea di tendenza principale. Le stelle blu, calde e luminose, si piazzavano in alto a sinistra e le rosse, fredde e deboli, in basso a destra (come già ipotizzato e previsto). Tuttavia, vi era un altro ramo composto di stelle rosse e fredde: oggetti che invece di diminuire la propria magnitudine la aumentavano. Infine, isolata e quasi assurda, Omicron2 Eridani B, calda e di irrisoria luminosità.

Il diagramma di Russel si riferiva solo a stelle che si trovavano entro i 30 anni luce dalla Terra.

h-r-diagram

Diagramma HR schematico moderno

A questo punto era chiaro che la popolazione stellare non seguiva soltanto un’unica legge magnitudine-temperatura, ma era composta da oggetti che si staccavano dal trend normale. Era necessario iniziare a studiare gruppi di oggetti particolari, per vedere se la situazione sarebbe stata sempre la stessa oppure sarebbe cambiata.

Un primo gruppo da prendere in considerazione era quello delle Pleiadi, (M45) nella costellazione del Toro.

Three-colour image made from plates taken at with the UK Schmidt TelescopeB8960, IIa-O/GG 385; V8826, IIa-D/GG 495; R8935, 098-04/RG 630.  B:G:R  30:30:40 min exposure

Three-colour image of M45 made from plates taken at with the UK Schmidt TelescopeB8960, IIa-O/GG 385; V8826, IIa-D/GG 495; R8935, 098-04/RG 630. B:G:R 30:30:40 min exposure

L’ammasso delle Pleiadi rappresentato nel diagramma HR.

L’ammasso delle Pleiadi rappresentato nel diagramma HR

Tutte le stelle sono quasi perfettamente piazzate lungo la linea che parte da quelle calde, blu e luminose e termina a quelle fredde, rosse e deboli. Non vi sono nane bianche e nemmeno stelle fredde, rosse e luminose.

Un secondo è l’ammasso globulare M3, nella costellazione dei Cani da Caccia.

ammasso globulare m3 noao

Globular Cluster M3 from WIYN – Credit & Copyright: S. Kafka & K. Honeycutt (Indiana University), WIYN, NOAO, NSF

hr diagram ammasso globulare m3

L’ammasso globulare M3 rappresentato nel diagramma HR. The main sequence turn off has an apparent value of r = 19.25 – (c) Galactic Discovery Project.

In questo diagramma, trascurando per un momento la striscia quasi orizzontale, sembra che esista solo la parte inferiore della diagonale delle Pleiadi, quella degli oggetti freddi e deboli. Al posto di quella superiore (stelle calde e luminose) appare il ramo di destra degli astri freddi e brillanti.

Un piccolo chiarimento. La scelta di due gruppi così speciali è legata essenzialmente all’alto numero di oggetti che contengono e alla più che probabile vicinanza delle stelle che li compongono. Anche se nelle due figure precedenti è inserita la magnitudine assoluta, per gruppi di stelle poste tutte alla stessa distanza si può usare la magnitudine apparente. Un grosso vantaggio indubbiamente sfruttato in tempi in cui la determinazione della distanza non era un gioco da bambini.

Le tre figure precedenti erano un bell’enigma per gli astronomi dell’inizio del XX secolo. Una possibilità era che le tre popolazioni fossero gruppi di stelle intrinsecamente differenti. Quella più seguita, però, implicava la ricerca di un unico modello per i tre diagrammi. D’altra parte la zona in basso a destra era comune alle tre popolazioni.

Tra i molti studiosi, si distinse Allan Sandage, che propose un “movimento” delle stelle lungo il diagramma HR in funzione della loro età. Le stelle nascono come le Pleiadi, lungo la diagonale principale. All’avanzare dell’età iniziano a lasciarla spostandosi sulla destra e le più luminose sono le prime a muoversi. Questa evoluzione si vede chiaramente nel diagramma dell’ammasso globulare. Un po’ alla volta anche gli astri più deboli lasciano la diagonale. Ovviamente il primo diagramma di Russel conteneva stelle di tutte le età e quindi era un mix di popolazioni diverse. Insomma le differenze nei tre diagrammi erano solo dovute all’età delle stelle.

Era nata l’astrofisica stellare.

3.2 La grandezza delle bolle

Prima di andare avanti nel nostro gioco, parliamo un po’ del raggio. Vi sarete accorti che non ho detto quasi niente sulla determinazione diretta di questo parametro. In realtà i problemi sono essenzialmente due: è difficile misurarlo e non è facile definire un limite esterno per un oggetto gassoso che non ha una vera e propria superficie come i pianeti e che tutto fa meno che stare tranquillo e rilassato.

Potrei dirvi che oggi si riescono a determinare, finalmente, alcuni raggi di stelle giganti per mezzo dell’interferometria e che altre misure si ottenevano già da tempo con le binarie a eclissi. Tuttavia, il raggio diventa veramente importante solo nei momenti critici delle stelle, ossia in quelli che nei primi diagrammi avevano creato sorpresa e poi aperto le porte all’evoluzione stellare.

Sto parlando, ovviamente, del ramo di destra a bassa temperatura e luminosità elevata e delle nane bianche, le prime anomalie incontrate nel diagramma appena nato. Ebbene, chi le causa e le fa notare visivamente è soprattutto il raggio. E’ lui che non segue più le regole e mette in evidenza i percorsi anomali.

Prendiamo, ad esempio, il ramo di destra. Abbiamo già visto che la temperatura scende drasticamente, ma la superficie che emette luce è talmente grande (il raggio è diventato enorme) che la luminosità supera di 100 volte quella emessa quando la temperatura era più alta. In altre parole, la luminosità cresce se aumentiamo la superficie in grado di distribuirla verso l’esterno. Faccio un paragone un po’ azzardato: un vagone della metropolitana è stracolmo di persone, ma la porta di uscita è una sola. Vedrò saltar fuori molta gente, per molto tempo, ma non avrò un flusso mostruoso di ritardatari che corrono. Pochi alla volta, insomma. Se, invece aumento il numero delle porte, immediatamente tutti gli occupanti saltano fuori e danno l’idea di una folla sterminata, maggiore di quella precedente.

Prima, tutto seguiva le regole della calma e dell’ordine (equilibrio idrostatico quasi perfetto); poi l’equilibrio si è rotto e si è dovuta cercare una nuova soluzione. Continuando in questo paragone (che vi prego di prendere con le dovute molle), se le porte si rompono in tutto il treno e ne resta una sola per l’intero convoglio, vedremo uscire pochissime persone anche se per un periodo lunghissimo. Questo assomiglia al caso delle nane bianche. La temperatura è altissima, ma il raggio è talmente piccolo che la quantità di luce emessa non può essere che estremamente modesta. Insomma, variare il raggio è come aprire un numero diverso di porte in un convoglio stracolmo di persone.

Se, poi, il numero di persone (ossia la massa della stella) comincia anch’essa a variare le cose si complicano. Per esempio, nel caso delle nane bianche, molti viaggiatori se ne sono andati da un’uscita posteriore non visibile. In altre parole, le stelle hanno perso anche una notevole quantità di massa.

Scusate questa digressione un po’ fantasiosa, ma è estremamente importante cominciare, con il piede giusto, un’analisi accurata del diagramma HR e di quelle mille cose, a prima vista nascoste, che sa raccontarci direttamente o indirettamente e che spesso vengono tralasciate nei libri. Il discorso che ho appena fatto può essere sintetizzato da un’unica formula che già ben conoscete e che riporto nuovamente:

L = 4 πσT4R2

Con quel famoso linguaggio che a tanti non piace, essa dice la stessa cosa delle mie lunghe e strampalate parole ma in modo perfettamente quantitativo. Se voglio lasciare la luminosità costante o al limite farla anche aumentare un po’ (ramo destro anomalo del diagramma HR) mentre la temperatura sta miseramente scendendo, ho un solo modo per agire: aprire le porte, ossia aumentare il raggio. Dato che la temperatura viaggia con la quarta potenza devo anche aumentarlo di molto, visto che lui va solo al quadrato!

VY Canis Majoris

A size comparison between the Sun and UY Canis Majoris. (c) HeNRyKus

…………………………………

Vincenzo Zappalà – 2014

Per saperne di più:

Il Gioco delle Stelle

Astronomia Siderale, omaggio ad Angelo Secchi – Domenico Licchelli

Copyright © Domenico Licchelli – Progetto Polaris 2014 www.osservatoriofeynman.eu  All right reserved Questo volume rientra nelle iniziative del Progetto Polaris e NON ha carattere commerciale. Qualunque forma di distribuzione deve perciò essere coerente con le modalità e gli obiettivi del progetto riportate nella pagina indicata.

Copyright © Domenico Licchelli – Progetto Polaris 2014
www.osservatoriofeynman.eu
Questo volume rientra nelle iniziative del Progetto Polaris e NON ha carattere commerciale. Qualunque forma di distribuzione deve perciò essere coerente con le modalità e gli obiettivi del progetto riportate nella pagina indicata.

Dalla prefazione del libro:

Nel 1875 Giovanni Virginio Schiaparelli, uno dei grandi astronomi italiani del passato, nella sua opera “Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele”, così scriveva: “Nel prender a meditare sui monumenti dell’antico sapere, inspiriamoci, o lettore, a quel rispetto ed a quella venerazione che si devono avere per coloro, che, precedendoci in un’ardua strada, ne hanno a noi aperto ed agevolato il cammino. Con questi sentimenti impressi nell’animo ben ci avverrà d’incontrare osservazioni imperfette e speculazioni lontane dalla verità come oggi è conosciuta; ma non troveremo mai nulla né di assurdo, né di ridicolo, nè di ripugnante alle regole del sano ragionare. Se oggi noi, tardi nipoti di quegli illustri maestri, profittando dei loro errori e delle loro scoperte, e salendo in cima all’edifizio da loro elevato, siamo riusciti ad abbracciare collo sguardo un più vasto orizzonte, stolta superbia nostra sarebbe il credere per questo d’aver noi la vista più lunga e più acuta della loro. Tutto il nostro merito sta nell’esser venuti al mondo più tardi.”
Questo testo vuole essere proprio una dimostrazione del rispetto e della venerazione che abbiamo per coloro che, precedendoci, hanno aperto la strada che oggi ci consente di ottenere risultati straordinari, impensabili fino a pochi decenni fa. Le moderne tecnologie, infatti, permettono l’analisi e lo studio di fenomeni complessi e stupefacenti, un tempo appannaggio esclusivo delle grandi strutture di ricerca, anche in piccoli laboratori didattici. Le immagini e gli spettri inseriti nel testo sono stati acquisiti negli anni nei nostri Osservatori astronomici con strumentazione commerciale o auto-costruita. Con un’adeguata preparazione è perfino possibile contribuire direttamente alla ricerca scientifica operando in Osservatori astronomici privati, come nel nostro caso.
Ancora più importante, a nostro avviso, è la valenza didattica insita nel ripercorrere con mezzi moderni le tappe che hanno portato i nostri predecessori a capire le leggi fondamentali della Fisica e delle Scienze tutte.
In questo volume, il nostro “eroe” è Angelo Secchi, gesuita, astronomo, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, padre dell’Astrofisica stellare italiana ma non solo. Grazie anche ai suoi studi, la giovane spettroscopia applicata alle stelle divenne la stele di Rosetta che ha permesso poi di decodificare il messaggio nascosto nella luce degli oggetti celesti e di costruire, con cognizione di causa, il modello di Universo così come oggi lo conosciamo. Attraverso le sue parole conosceremo la classificazione in tipi spettrali, i tentativi di interpretazione fisica degli spettri osservati e, soprattutto, diverremo amici di alcune delle stelle più belle ed interessanti del firmamento, ognuna con la sua firma caratteristica ed allo stesso tempo unica così come ce la svelano i nostri strumenti.
Il testo, dopo una presentazione divulgativa dello stato attuale delle conoscenze di base di Fisica stellare, procede alternando le originali osservazioni di Secchi agli spettri moderni. Le corpose citazioni (riportate in corsivo) sono estratte da “Le Stelle: saggio di Astronomia siderale” del 1877, un testo brillante, scritto con uno stile molto divulgativo tale da renderlo, ancora oggi, di gradevolissima lettura, e che racchiude alcune delle conclusioni a cui era giunto Secchi dopo molti anni di intenso lavoro. L’obiettivo non è solo quello di guardare sotto una luce nuova il cielo stellato e la sua bellezza ma anche di acquisire una maggiore consapevolezza del posto che occupiamo nell’Universo attraverso la conoscenza dei suoi costituenti più importanti. E’ anche l’occasione per stimolare la riflessione sugli enormi progressi compiuti dalla scienza astronomica nell’ultimo secolo e un doveroso riconoscimento ai grandi scienziati che con la loro instancabile passione e dedizione li hanno resi possibili………..

Omaggio ad un grande scienziato

L’Astronomia si era sempre esclusivamente occupata fino ad ora della grandezza e distanza degli astri e di alcune poche particolarità fisiche di non molta importanza: il pretendere di conoscere la loro natura materiale e composizione chimica si sarebbe creduto un assurdo; fortunatamente ciò non è più vero, e l’astronomo può analizzare la natura delle materie stellari colla facilità con cui il chimico analizza le sostanze terrestri nel suo laboratorio. Sì grande progresso della scienza è dovuto al piccolo strumento, lo spettroscopio. La luce qual viaggiatrice industriosa è quella che ci reca dalla profondità dello spazio queste preziose notizie…..Il primo che ottenesse uno spettro di stella con vantaggio della scienza fu Fraunhofer. Dopo aver con somma perfezione e delicatezza descritto lo spettro solare, e le numerose sue righe, egli intraprese lo studio di altre luci e tra queste ancor di alcune stelle.”

joseph-von-fraunhofer-sonnenspektrum

Francobollo commemorativo del bicentenario della nascita di Fraunhofer

..Fraunhofer trovò così che la Luna, Venere e Giove avevano spettro identico a quello del Sole, come era da aspettarsi, ma le stelle in generale l’aveano molto diverso..”

Spettro del Sole

Spettro del Sole

Spettro della Luna

Spettro della Luna

venus_m_lisa_2012_03_26_c-s

Spettro di Venere

Spettro della Luna e Giove

Oggi con i nostri rivelatori e le nostre tecniche di visualizzazione ed analisi notiamo che è vero che lo spettro della Luna e di Venere nel visibile è sostanzialmente identico a quello del Sole, essendo il risultato della semplice riflessione della luce solare da parte delle superfici planetarie o atmosferiche. Nel caso di Giove, tuttavia, è evidente che allo spettro solare si sovrappongono della bande sfumate dovute all’Ammoniaca (NH3) ed al Metano (CH4) presenti nella sua atmosfera. Seppur individuate già da Secchi, furono associate correttamente a queste molecole solo nel 1930 da R. Wild e V. Slipher.

In Sirio notò una forte riga nera nel verde e due nell’azzurro; e trovò righe simili in alcune altre stelle; ma il sistema di queste righe, la posizione e la qualità trovati in quelle che esaminò, erano diverse assai da quelle del Sole. Senonché la debolezza delle luci era tanta che rendeva assai difficile l’osservazione.

spettro sirio

α Canis Majoris (Sirio)

spettro α Geminorum (Castore)

α Geminorum (Castore)

Riconobbe in Castore la stessa riga del verde che avea trovata in Sirio e vide lo spettro di Polluce solcato di moltissime righe fine tra le quali riconobbe la riga solare D.

spettro β Geminorum (Polluce)

β Geminorum (Polluce)

Nella Capra riconobbe la D e la B del Sole, in α Orione vide pure queste stesse righe e una moltitudine di altre.”

spettro α Aurigae (Capella, Capra)

α Aurigae (Capella, Capra)

spettro Alpha Orionis (Betelgeuse )

Alpha Orionis (Betelgeuse )

Le osservazioni sempre più raffinate di Fraunhofer se da un lato arricchivano il campionario di righe, dall’altro richiedevano una qualche identificazione ed interpretazione. Ma come procedere? La risposta ce la indica lo stesso Secchi:

“….È nota ai nostri lettori l’importanza degli studi spettrali del Sole, mediante i quali si è giunto a riconoscere la natura chimica delle sostanze che trovansi incandescenti nell’astro: uno studio simile dovevasi pertanto eseguire sulle stelle. Due erano le cose principali da investigare: 1) quali fossero le sostanze costitutive delle loro atmosfere incandescenti; 2) se esse atmosfere erano identiche o no in tutte le stelle…

Il primo studio fu per alcune stelle a meraviglia eseguito dai sigg. Huggins e Miller, i quali parte con osservazioni di confronti diretti degli spettri chimici, parte colla comparazione dello spettro solare, vi provarono definitivamente l’esistenza di varie righe solari e quelle di molte sostanze chimiche. Così in Sirio mostrarono che le righe principali erano dell’Idrogeno, e che probabilmente eravi anche il Sodio e il Magnesio. Le nostre osservazioni ci fecero scoprire la quarta riga dell’Idrogeno in allora ancora ignota ai chimici, e misero fuor di dubbio che esse righe erano molto larghe e sfumate. Da principio il celebre sig. Huggins, credette questo dovuto a difetto del nostro strumento, ma ora ha convenuto ancor esso della verità delle sfumature, donde segue che l’Idrogeno ivi trovasi sotto una pressione considerabile. Dalle nostre prime osservazioni fu pure dimostrata in α Orione la presenza dei metalli, Sodio, Ferro, Magnesio, ecc. e due belle tavole diede il sig. Huggins di questa stella e di Aldebaran da noi estese e aumentate. Noi trovammo che l’Idrogeno in α Orione non mancava, ma le sue righe erano confuse nelle grandi zone scure di cui è fornita questa stella, e che l’indebolimento loro poteva provenire dal dare quella stella uno spettro in parte diretto.

Un confronto accurato fatto dello spettro di Arturo e di Aldebaran, di Polluce e della Capra con quello del Sole mediante il prisma obiettivo, ci mostrò più di 60 righe francamente riconoscibili come coincidenti colle metalliche solari, e quindi l’esistenza in quelle stelle del Sodio, del Calcio, del Ferro. Per questa sostanza sono specialmente notabili le righe del verde che ivi formano una numerosa serie di gruppi identici, che costituiscono una bella persiana. Riducendo lo spettro solare a debole intensità, vedemmo risaltare anche meglio l’identità degli spettri stellari e solari in queste stelle. Ma una cosa caratteristica degli spettri stellari è che moltissime stelle oltre le righe fine metalliche danno zone molto fosche come vedesi in α Orione, in β Pegaso, Omicron Balena ecc.

spettro β Pegasi

β Pegasi

spettro Omicron Ceti (Omicron Balena)

Omicron Ceti (Omicron Balena)

Curiosissime oltremodo si mostrano certune come α Ercole, la 12561 di Lalande, ecc. i cui spettri sono fatti a dirittura a colonnato, o piuttosto come un nastro iridato avvolto con successive pieghe cilindriche.

spettro α Herculis

α Herculis

Il fatto più saliente verificato in queste ricerche è stato questo: che mentre le stelle sono numerosissime, pure i loro spettri si riducono a poche forme ben definite e distinte, che per brevità noi chiamammo Tipi. L’esame delle stelle ci ha occupato per parecchi anni: furono esaminate quasi tutte le principali, e moltissime altre; almeno 4000 in tutto, perché oltre alla stella principale si esaminava tutto il suo contorno….

Ecco pertanto le principali conclusioni. Tutti gli spettri stellari, tranne pochissime eccezioni possono ridursi a 4 Tipi principali che sono descritti nelle due tavole cromolitografiche qui inserite.

fonte: Die Sterne, Grundzuge der Astronomie der Fixsterne (1878). Da notare l'ordine invertito con cui era disegnato lo spettro rispetto alla convenzione moderna.

fonte: Die Sterne, Grundzuge der Astronomie der Fixsterne (1878). Da notare l’ordine invertito con cui era disegnato lo spettro rispetto alla convenzione moderna.

1°. Il primo tipo è quello delle stelle bianche o azzurrognole come Sirio, α Lira, β, γ, β, ε, ζ, η dell’Orsa Maggiore, Castore, Markab, α Ofiuco ecc.. Lo spettro di queste è quasi continuo: soltanto esso è solcato da quattro forti righe nere che sono quelle dell’Idrogeno, ma rovesciate secondo il noto principio spettrale dell’assorbimento. Tutte e quattro queste righe possono vedersi nelle più lucide; nelle più deboli non è ordinariamente visibile che la Hβ, ossia la F del Sole, ma in genere questa è molto larga e dilatata e spesso sfumata agli orli, specialmente in Sirio. Questa sfumatura è indizio di elevatissima temperatura e di forte densità dell’atmosfera idrogenica delle stelle di quest’ordine.

spettro sirio

α Canis Majoris (Sirio)

Vi si vedono anche tracce di altre linee come del Magnesio, del Sodio e alcuna del Ferro, ma esse sono debolissime e richiedono aria squisita. A noi però non è mai riuscito di avere queste righe secondarie costantemente nette e precise come in altre stelle di cui facemmo i disegni.

spettro alpha Lyrae (Vega)

α Lyrae (Vega)

In Sirio e in Vega talora esse sono ben distinte, ma per lo più sono appena discernibili anche ad aria ottima; quindi ne segue che queste loro atmosfere sono certamente alquanto variabili. Le figure dello spettro di questa classe che circolano nei libri di spettroscopia carichi di numerose e grosse righe nere, per noi sono assolutamente erronee o almeno esagerate: e sì che non abbiamo risparmiato mezzi di ricerche anche fortissimi. Alcune però di quelle righe possono essere dovute all’assorbimento atmosferico tellurico, poiché in Sirio le abbiamo vedute soventi quando la stella era bassa, ma raramente al meridiano. In α Lira, le abbiamo vedute anche al meridiano (27 giugno 1869).

Che le sfumature delle linee principali dell’Idrogeno nelle stelle grandi fossero reali e non illusione, né difetto di strumento, si provò da ciò che mentre col prisma obiettivo in β Gemelli le sue righe fine erano nettissime, in Sirio e α in Lira erano invece diffuse e larghe in tal grado che non potevano attribuirsi a difetto dello strumento.

spettro β Geminorum (Polluce)

β Geminorum (Polluce)

Molte stelle minori bianche paiono avere spettro continuo e senza righe, ma studiate con cura si trovano di questo tipo colle righe però molto fine. Questa classe è numerosissima e abbraccia più della metà delle stelle visibili.

È bene avvertire che in parecchie di questo tipo, come in Procione, α Aquila, α Vergine ecc. si scorgono molte righe fine abbastanza ben visibili, ai luoghi stessi dove appena si scorge traccia nelle altre: talchè queste sembrano esser casi di transizione da questo tipo al seguente, ma si sa che queste stelle sono leggermente variabili, e per ciò anche il tipo non ha sempre la stessa purezza.

spettro α Canis Minoris (Procione)

α Canis Minoris (Procione)

spettro α Virginis (Spica)

α Virginis (Spica)

2°. Il secondo tipo è quello delle stelle gialle: esse hanno righe finissime; le righe dell’Idrogeno pure vi sono, ma sono sottili e non punto così marcate come nelle precedenti, e lo spettro è perfettamente eguale a quello del Sole; la Capra, Polluce, α Balena, α Orsa Maggiore e molte altre di color giallo sono di questo tipo.

spettro α Orsa Maggiore (Dubhe)

α Orsa Maggiore (Dubhe)

………………..

Per ricevere una copia integrale del libro è sufficiente una donazione libera.

Con la ricevuta della vostra donazione, vi invieremo una mail con i dati per scaricare comodamente la vostra copia. polaris@osservatoriofeynman.eu,

 Domenico Licchelli, Francesco Strafella, Paolo Cazzato  – 2014