Nel mirino degli asteroidi – Giulia Alemanno

Nello scenario apocalittico di Armageddon un asteroide sta per schiantarsi sulla Terra e l’intero globo deve cercare di correre ai ripari. Ci chiediamo: è veramente possibile un evento di questo tipo? Può il cielo cadere sulle nostre teste? E cosa sono questi asteroidi? Gli asteroidi sono corpi minori del Sistema Solare formatisi al momento della formazione dei pianeti. Si tratta di oggetti di ridotte dimensioni e bassa luminosità. Questo spiega perché non furono scoperti prima del 1801. Nell’antichità, in seguito alla scoperta dei primi pianeti, si osservò sperimentalmente che le loro distanze aumentano in maniera regolare man mano che ci si allontana dal Sole. Venne così elaborata una legge matematica a carattere empirico per spiegare questa osservazione, nota come legge di Titius-Bode. Considerando come unità di misura la distanza Terra-Sole, pari a un’unità astronomica UA, le distanze degli altri pianeti dal Sole possono essere determinate in maniera approssimativa attraverso la seguente relazione empirica:

I valori ottenuti sono riportati nella seguente tabella.

n

Distanza di Titius-Bode (UA)

Distanza osservata (UA)

Pianeta

0.4

0.39

Mercurio

0

0.7

0.72

Venere

1

1

1

Terra

2

1.6

1.52

Marte

3

2.8

?

?

4

5.2

5.2

Giove

5

10

9.54

Saturno

6

19.2

19.6

Urano

 

 La legge di Titius-Bode indicava la presenza di un corpo alla distanza di circa 2.8 UA. Nel 1801 Giuseppe Piazzi scoprì Cerere, il primo di tutta una lunga serie di asteroidi. La maggior parte di essi occupa la cosiddetta fascia principale, “Main Belt” situata tra Marte e Giove ad una distanza dal Sole compresa tra 2.2 e 3.3 UA. Essa contiene, secondo recenti analisi, un milione di oggetti il cui diametro è maggiore o uguale ad 1 km. All’interno della fascia principale gli asteroidi sono distribuiti in modo non omogeno e il loro moto è caotico a causa delle forti perturbazioni gravitazionali prodotte in primis da Giove e poi anche dagli altri pianeti del Sistema Solare. In particolare, il caos viene generato da fenomeni di risonanza. Si osservano delle regioni dette lacune di Kirkwood a valori del semiasse maggiore che non corrispondono al semiasse orbitale di alcun asteroide visibile. Queste lacune coincidono con orbite fortemente caotiche situate in corrispondenza di valori del semiasse maggiore orbitale che portano ad una ripetizione delle posizioni relative di Sole, Giove e dell’asteroide. Ad esempio, una lacuna di Kirkwood è situata in corrispondenza di orbite caratterizzate da un periodo di rivoluzione pari ad 1/3 di quello gioviano. Questa lacuna si trova ad una distanza di 2.5 UA e in essa un eventuale asteroide, ogni tre rivoluzioni, si troverebbe nella stessa posizione di Giove. Questo dà luogo ad una risonanza di moto medio che produce un aumento della forza di Giove. Il povero asteroide che si trova a passare da questa regione viene espulso e immesso in un orbita differente tipicamente caratterizzata da un periodo minore e quindi più vicina a noi. Esistono poi due gruppi di asteroidi che si muovono in sincronia con Giove, lungo la sua stessa orbita. Questi asteroidi sono chiamati Troiani, una parte di essi precede Giove mentre l’altra lo segue.

Ad una distanza minore dal Sole, pari circa a 1.9 UA vi è un gruppo di oggetti noti come “Hungaria” e ad una distanza maggiore vi sono poi gli oggetti di tipo “Hilda” e “Thule”. La caratteristica interessante è che questi ammassi si trovano in corrispondenza delle risonanze 2/3 e 3/4 che in questo caso non determinano l’espulsione degli asteroidi, quindi non corrispondono a lacune di Kirkwood. Il comportamento di una risonanza viene, infatti, determinato non solo dalla forza di attrazione gravitazionale di Giove ma anche da perturbazioni dovute agli altri pianeti del Sistema Solare e al Sole stesso. E’ stato dimostrato che quando le altre forze perturbative riducono l’energia meccanica dell’asteroide viene prodotta la lacuna. In caso contrario si ha una grande concentrazione di corpi nella regione della risonanza e le regioni vicine vengono svuotate. A complicare ulteriormente la situazione si aggiungono però altri tipi di risonanze come le risonanze secolari dovute al fatto che con il passare del tempo le orbite dei pianeti e degli asteroidi si modificano. Una risonanza secolare si verifica quando il perielio di Giove coincide con quello di un asteroide. Tutto ciò contribuisce a rendere ancora più imprevedibile il moto di un asteroide. Un’importante categoria è poi quella dei NEO, Near-Earth Objects, ovvero asteroidi che orbitano molto vicino alla nostra amata Terra. Questi ultimi sono raggruppati in 3 popolazioni note come “Aten”, “Apollo” e “Amor” che si differenziano in base a parametri orbitali.

Come possiamo notare in figura, gli Atens nel loro cammino attorno al Sole, incrociano l’orbita terrestre. Hanno un semiasse maggiore orbitale inferiore a 1 UA, quindi per la maggior parte del tempo si trovano all’interno dell’orbita terrestre. Gli asteroidi della popolazione Apollo, al contrario, trascorrono più tempo al di fuori dell’orbita terrestre ma quando si avvicinano al perielio incrociano anch’essi l’orbita terrestre per passare al suo interno. Gli Amor, invece, non intercettano mai l’orbita terrestre durante il loro cammino. Essi, infatti, al perielio vengono a trovarsi ad una distanza dal Sole compresa tra 1.017 e 1.3 UA, maggiore pertanto della distanza Terra-Sole, ma non per questo sono meno pericolosi. Tutti questi oggetti evolvono in maniera caotica quindi la loro differenziazione in gruppi può essere meno netta. In base ad analisi spettrali la popolazione asteroidale è stata suddivisa in differenti classi tassonomiche di cui ricordiamo le più numerose che sono le classi S, C, P, D ed M. Gli asteroidi appartenenti alla classe S rivelano la presenza di silicati e presentano un’albedo di gran lunga maggiore rispetto agli asteroidi di classe C.  inoltre, hanno semiassi maggiori con valori compresi tra 2 e 2.5 UA dal Sole, mentre gli asteroidi della classe C raggiungono una distanza massima di 3.1 UA. All’interno della fascia principale predominano i corpi di classe S. Si tratta di un gruppo variegato che comprende sia corpi che hanno attraversato una fase di fusione, sia corpi che non sono mai stati allo stato fuso. Gli asteroidi più vicini a Marte sono composti prevalentemente da materiali rocciosi mescolati con ferro, mentre quelli situati esternamente e quindi più prossimi a Giove sembrano tutti corpi primitivi con composizione abbastanza simile a quella della nebulosa primordiale dalla quale ha avuto origine l’intero Sistema Solare. Questi oggetti appartengono alle classi C, P e D.

Si ritiene che, quando la nebulosa di gas e polvere iniziò a condensare, i primi minuscoli grani si aggregarono dando origine ai planetesimi dai quali hanno avuto origine gli attuali pianeti. Ma nella regione situata tra Marte e Giove, le risonanze gravitazionali di Giove furono tali da impedire la formazione di planetesimi così i frammenti non inglobati in pianeti diedero origine agli asteroidi. Questi corpi, date le loro ridotte dimensioni, si raffreddarono molto rapidamente. Nei più grandi il tempo di raffreddamento fu tale da permettere comunque una differenziazione. Essi presentano un nucleo costituito da metalli più pesanti avvolto in uno strato superficiale di materiale roccioso e mostrano i segni di una passata attività vulcanica. Tra questi abbiamo gli asteroidi di tipo M che sembrano contenere grandi quantità di metalli, quali ferro e nichel. Esternamente gli asteroidi si presentano come corpi asimmetrici e di forma irregolare. Le irregolarità sono dovute alla loro ridotta massa. La forma di un oggetto è, infatti, determinata dall’azione di due forze: la forza gravitazionale che si esercita tra le varie parti di cui esso è composto e la forza di coesione dovuta alle interazioni elettromagnetiche tra le molecole del corpo. Mentre le forze gravitazionali plasmano il corpo, quelle di coesione determinano una geometria complessa e piena di deformazioni. Nei corpi di maggiore massa le forze gravitazionali predominano su quelle di coesione, questi oggetti tendono quindi ad avere una forma più regolare come si può osservare per i pianeti. Negli asteroidi invece, le forze gravitazionali non sono sufficienti a conferire al corpo forme più plasmate. Le superfici di questi oggetti mostrano poi diversi crateri d’impatto e si presentano come dei piccoli pianeti in miniatura.

Vediamo nel dettaglio alcuni di questi oggetti:

Cerere – come abbiamo già accennato all’inizio dell’articolo, Cerere è il primo asteroide ad essere stato scoperto ed è anche il più grande della fascia principale. Esso presenta un diametro pari a 950 km ed una massa pari al 32% di quella dell’intera fascia principale. Dal 2006 è classificato come pianeta nano. Cerere presenta un nucleo roccioso ed una superficie caratterizzata dalla presenza di materiali idrati e argille. Si ritiene che, in seguito alla sua formazione, questo piccolo pianeta abbia attraversato una fase di intensa attività vulcanica. Pallade – fu il secondo asteroide ad essere osservato. Anch’esso di notevoli dimensioni, presenta infatti, un diametro pari a 512 – 545 km. Pallade risulta costituito in prevalenza da silicati ed è invece povero di ferro.

Vesta – è uno tra i più grandi asteroidi e il più luminoso: presenta un diametro pari circa a 525 km ed ha una densità di 3.3  QUOTE . Nelle situazioni più favorevoli può raggiungere una magnitudine pari a 5.4. La sua struttura interna è differenziata: presenta un nucleo costituito da metalli più pesanti quali ferro e nichel, un mantello costituito da olivina (un minerale di colore verde) ed uno strato superficiale di roccia basaltica. Frequenti impatti frammentano la superficie di Vesta e diversi frammenti giungono fino a noi, cadendo sulle nostre teste. Esiste, infatti, una categoria di meteoriti che si pensa provengano da Vesta. Questi contengono notevoli quantità di olivina. Si ritiene che un tempo esistessero diversi corpi simili a Vesta ma questi sono stati frantumati in famiglie di asteroidi più piccoli a causa delle frequenti collisioni con altri corpi.

Gaspra – E’ un asteroide della Main Belt appartenente alla classe S ed è il primo asteroide in assoluto ad essere stato visitato da una sonda. La sonda Galileo osservò Gaspra mentre faceva rotta verso Giove. Gaspra ha una larghezza pari circa a 10 km e una lunghezza di 17 km, la sua superficie è popolata da moltissimi crateri d’impatto, più di 600, ma nessuno di essi si avvicina al valore del raggio dell’asteroide. La forma di Gaspra è molto irregolare, da ciò si può dedurre che probabilmente ha avuto origine da un corpo che ha subito molte collisioni.

P/2013 R3 – E’ il primo asteroide che è stato visto ridursi letteralmente in pezzi. La notizia è recente: l’asteroide è stato osservato il 15 settembre 2013 dai telescopi Catalina e PAN-STARRS ai quali appariva come un oggetto sfocato dall’aspetto anomalo. Successive osservazioni del Keck Telescope nelle Hawaii hanno permesso di distinguere tre oggetti in movimento. Immagini più dettagliate ottenute grazie all’Hubble Space Telecope hanno rivelato la presenza di non 3, ma ben 10 oggetti distinti ognuno con una coda di polveri simile a quella di una cometa. Gli oggetti più grandi hanno un diametro di 200 m.

I dati raccolti mostrano  inoltre, che i pezzi si allontanano gli uni rispetto agli altri a una velocità di  1.5km/h  e permettono di fare delle ipotesi sulla causa della frammentazione dell’asteroide. Il numero di frammenti continua ad aumentare e ciò porta ad escludere l’idea che l’asteroide si stia frammentando per effetto dello scontro con un altro asteroide. Se così fosse le velocità dei frammenti dovrebbero essere maggiori di quelle osservate. Si può escludere anche l’ipotesi della rottura a causa della pressione ed evaporazione dei ghiacci interni perché l’oggetto è troppo freddo per portare ad una evaporazione significativa dei ghiacci contenuti al suo interno. E’ stata così avanzata l’ipotesi della rottura a causa dell’effetto YORP. Asteroidi e altri piccoli corpi che popolano il nostro Sistema Solare risentono dell’effetto YORP (Yarkovsky–O’Keefe–Radzievskii–Paddack effect), che descrive la variazione della rotazione di questi oggetti a causa dell’interazione con la luce del Sole. Tale effetto si verifica quando la radiazione assorbita dall’oggetto, viene in un secondo momento riemessa dalla superficie dello stesso sotto forma di calore. Se un asteroide ha una forma molto irregolare il calore viene irradiato in modo non uniforme e questo produce un effetto torcente sul moto del corpo modificandone la sua velocità di rotazione. Si ritiene che questo effetto abbia provocato un aumento della velocità di rotazione di P/2013 R3 e conseguentemente anche della forza centrifuga che ha ridotto in pezzi l’asteroide. Probabilmente P/2013 R3 aveva una struttura interna frammentata a causa di numerose collisioni subite nel passato. Si pensa che molti asteroidi hanno una tale struttura, detta “rubble pile”, ovvero mucchio di macerie.

Itokawa – Si tratta di un piccolo asteroide che orbita attorno alla Terra. Esso appartiene, infatti, al gruppo Apollo. In un primo momento Itokawa è stato osservato nel dettaglio grazie alle immagini e ai dati della sonda giapponese Hayabusa che hanno rivelato la sua strana forma, simile a quella di un’arachide. Successivamente, un gruppo di ricercatori capitanati da Stephen Lowry, ha analizzato le immagini raccolte tra il 2001 e il 2013 dal New Technology Thelescope (NTT), in Cile, al fine di determinare la struttura interna di questo piccolo pianetino. Misurando la variazione di luminosità di Itokawa, si è potuta ottenere una misura molto accurata del suo periodo di rotazione e della sua variazione nel tempo. E’ stato osservato che l’effetto YORP sta provocando un aumento nella velocità di rotazione di Itokawa e quindi una diminuzione del suo periodo che varia di 0.045 secondi l’anno. Questa variazione si può spiegare solo se si assume che le due parti di cui è fatto l’asteroide abbiano densità diverse. Questa scoperta rappresenta un passo importante nello studio degli asteroidi: è la prima volta che si è riusciti a determinare in maggiore dettaglio la struttura interna di un asteroide e tutto ciò permette di comprendere meglio l’origine di questi corpi. E’ stata avanzata, ad esempio, l’ipotesi che Itokawa si sia formato dall’impatto tra due asteroidi differenti che si sono scontrati e fusi.

Soprattutto, gli studi sulla struttura interna degli asteroidi sono importanti perché ci permettono di capire come ridurre il pericolo che questi oggetti cadano sulle nostre teste. La Terra è stata colpita diverse volte da corpi rocciosi provenienti dallo spazio. In un primo momento l’idea di pietre che piovono dal cielo non era accettata dalla comunità scientifica (l’Accademia delle Scienze di Parigi ne negò l’esistenza fino al XVIII secolo). Fu il fisico francese Jean-Baptiste Biot a provarne l’esistenza nell’800, quando una pioggia di pietre sembrò abbattersi nel villaggio de L’Aigle. Biot esaminando le pietre rinvenute riuscì a dimostrane l’origine extraterrestre. Oggi possiamo classificare gli incontri tra la Terra e questi oggetti, in base alle conseguenze da essi generate, secondo quattro differenti categorie. E’ stato calcolato che ogni giorno cadono al suolo 300 tonnellate di rocce e polveri. Per nostra fortuna l’atmosfera che ci circonda funziona come uno scudo: ci protegge da tutti i bolidi che hanno una massa inferiore a 100000 tonnellate e un diametro minore di qualche decina di metri. Questi oggetti vengono disintegrati in tanti minuscoli pezzi grazie all’attrito dell’aria. Durante il loro tragitto in atmosfera questi piccoli pezzi si incendiano dando luogo alle meteore, fenomeno più comunemente noto con il nome di stelle cadenti. Grazie alla nostra atmosfera, quindi, la maggior parte di questi oggetti quando giungono al suolo hanno le dimensioni di un granello di sabbia. Si parla in questo caso di incontri del “primo tipo” che hanno caratteristiche differenti a seconda della costituzione dei corpi in caduta.

Se le meteore sono di origine cometaria e quindi costituite da neve sporca, si incendiano al di sopra dei 50 km di altezza dal suolo. Le meteoriti rocciose, invece, presentando una maggiore resistenza al fuoco, colpiscono il suolo e si presentano come dei frammenti di pietra carbonizzata, come i frammenti analizzati da Biot. Questi meteoriti di diametro inferiore a 10 metri nella maggior parte dei casi si disintegrano in atmosfera. A causare gli incontri del “secondo tipo”, sono invece gli asteroidi pietrosi o ferrosi con una dimensione compresa tra 10 e 100 metri. La pressione che si esercita su una meteorite pietrosa, in seguito al suo ingresso in atmosfera è così elevata da ridurla in frantumi. La meteorite esplode prima di toccare il suolo e l’esplosione produce un’onda d’urto in atmosfera così violenta che spazza via ogni cosa nel raggio di diversi chilometri. Un evento di questo tipo si verificò sopra il fiume di Tunguska in Siberia, dove il mattino del 30 Giugno 1908 precipitò una massa rocciosa di 100 tonnellate e di 50 metri di diametro. L’esplosione distrusse tutta la foresta nel raggio di 30 km e portò alla morte di branchi di renne. L’energia liberata superava 1000 volte la potenza della bomba di Hiroshima. La meteorite esplose in volo, quindi non furono ritrovati frammenti né crateri d’impatto. Le cortecce degli alberi della foresta devastata, contengono tante minuscole particelle di oro, rame e nichel che sono componenti tipiche di un meteorite. L’ipotesi più probabile è che si sia trattato di una meteorite rocciosa esplosa a circa 10 km di altezza dal suolo dopo essere penetrata in atmosfera. L’ipotesi della meteorite ferrosa è stata esclusa perché quest’ultima, presentando una maggiore resistenza, non si disintegra durante il viaggio in atmosfera ma giunge al suolo dando origine ad un grande cratere d’impatto. Sulla Terra sono presenti diversi crateri d’impatto, come il Meteor Crater in Arizona prodotta da una meteorite di diametro di 50 metri. Ad oggi sono noti 150 crateri d’impatto, probabilmente un tempo vi era una quantità di maggiore di crateri, ma questi potrebbero essere stati cancellati da eventi erosivi atmosferici o movimenti tettonici. E’ probabile  inoltre, che vi siano crateri ancora non osservati sul fondo degli oceani.

Bolidi celesti di diametro maggiore o uguale a 10 km danno luogo agli “incontri ravvicinati” del “terzo” o “quarto tipo”, i cui effetti non sono più localizzati in determinate regioni del globo ma interessano l’intero pianeta. Questi bolidi non avvertono neppure la presenza dell’atmosfera. Un oggetto di questo tipo si schianterebbe al suolo con una potenza di un miliardo di Megaton, cioè 1000 più potente di tutti gli esplosivi presenti sulla Terra messi insieme! Un impatto del genere produrrebbe un cratere di 10 km di diametro e la materia incandescente verrebbe scagliata così in alto da entrare in orbita attorno alla Terra e produrre piogge di fuoco su tutto il pianeta. Le polveri riempirebbero l’intera atmosfera rendendo il cielo grigio e impendendo alla luce del Sole di arrivare al suolo, dando luogo così a un periodo gelido e invernale. La Terra sarebbe poi travolta da piogge acide, sostanze tossiche verrebbero liberate in atmosfera. Si ritiene che l’estinzione dei dinosauri sia stata provocata da un evento di questo tipo. E’ stato ritrovato un cratere d’impatto, noto come cratere di Chicxulub nella penisola dello Yucatan, con centro localizzato nella città di Chicxulub. E’ stato recentemente datato, con estrema precisione, l’impatto che ha dato luogo a questo cratere misurando l’età dei minerali prodotti dall’impatto, in particolare quelli ritrovati sull’isola di Haiti. Confrontando il valore ottenuto con l’età dei sedimenti in cui sono stati ritrovati in maggiore quantità i resti fossili dei dinosauri si è osservato che i due valori coincidono. Si è ottenuto che i due eventi avvennero circa 66040000 milioni di anni fa. Un incontro del terzo tipo si è verificato,  inoltre,, su Giove nel 1994, quando la cometa Shoemaker-Levy 9 precipitò sul Gigante del Sistema Solare. Tutto il mondo ha potuto osservare in diretta l’evento. Prima di precipitare sulla superficie del pianeta la cometa si frantumò in tanti pezzi, che si schiantarono l’uno dopo l’altro. Giove riportò le ferite per lungo tempo.

Ma non bisogna allarmarsi e gridare alla fine del mondo ogni qual volta un asteroide vola sulle nostre teste. Analisi statistiche ci dicono che una collisione come quella di Tunguska si verifica in media ogni due o tre secoli ma poiché la Terra è costituita prevalentemente da oceani, è molto probabile che un tale evento si verifichi in mare piuttosto che sulla terra ferma. Comunque verrebbero prodotti effetti localizzati e si potrebbero affrontare. La probabilità che si verifichi un tale evento è una su 10000 mila nell’arco dell’intera vita di un uomo, cioè è 100 volte minore della probabilità di morire in un incidente d’auto ma maggiore della probabilità di essere vittima di un terremoto, di un’eruzione vulcanica o di un uragano. Il rischio di impatti di tale portata è quindi molto ridotto ma non improbabile. Ricordiamo alcuni eventi d’impatto verificatisi sulla Terra negli ultimi anni come il meteorite di Whitehorse che il 18 Gennaio del 2000 si abbatte’ nella capitale di Yukon, uno dei tre territori canadesi. Testimoni dicono di aver osservato una palla bluastra in cielo che cambiava colore durante la caduta trascinando dietro di sé diversi detriti. Nel 2007 in Perù, nel villaggio di Carancas, precipitò un meteorite che produsse un cratere di circa 13,8 metri di diametro e 3 metri di profondità, che presto si riempì d’acqua che bolliva spargendo gas nocivi nell’area circostante a causa dei quali molte persone si ammalarono. Infine ricordiamo tutti l’evento del 15 Febbraio dello scorso anno, in Russia. L’onda d’urto provocata dall’impatto meteorico danneggiò circa 3000 edifici della città di Chelyabinsk e ci furono 1200 feriti.

Come possiamo proteggere la Terra da questi corpi? Oggi disponiamo della tecnologia necessaria per evitare impatti con meteoriti molto grandi, quanto una montagna ad esempio. Questi possono essere, infatti, avvistati in tempo e quindi si potrebbe intervenire cercando di cambiare la traiettoria del bolide. Un modo potrebbe essere quello di inviare un razzo con del materiale esplosivo ma bisognerebbe far attenzione a non ridurre il meteorite in tanti pezzi. Più complesso è invece, cercare di evitare un impatto con comete. Quest’ultime provengono dagli estremi confini del Sistema Solare e diventano visibili solo in prossimità del Sole. Pertanto comete potenzialmente pericolose potrebbero essere avvistate solo un anno prima dell’impatto e bisognerebbe far deviar loro la traiettoria quando già sarebbero molto vicine alla Terra. Come se non fosse già abbastanza complicato, si aggiunge poi il carattere di imprevedibilità delle comete. Quest’ultime, infatti, non sono soggette non solo alla forza gravitazionale ma l’evaporazione degli elementi volatili che le costituiscono produce delle piccole deviazioni che rendono difficile il calcolo della loro orbita. Niente panico! Anche qui le statistiche ci confortano: le comete pericolose sono in quantità di gran lunga minore rispetto alle meteoriti.

Tuttavia ricordando il famoso detto “non tutto il male vien per nuocere”, si ritiene che acqua e materiali organici siano stati portati sulla Terra proprio da questi bolidi, che sarebbero pertanto i responsabili dello sviluppo della vita sul nostro pianeta. Sappiamo, infatti, che le comete sono composte in parte da neve sporca, quindi acqua e per la restante parte da silicati e materia organica.  inoltre, meteoriti pietrosi ritrovate sulla superficie del pianeta rivelano la presenza di diversi composti organici. Probabilmente queste sostanze organiche hanno avuto origine dalla profusione di molecole interstellari, come molecole di idrogeno, d’acqua, di metano o ammoniaca. Queste molecole reagendo con l’acqua contenuta all’interno delle molecole possono dare origine ad amminoacidi. E’ proprio il caso di dirlo: “siamo figli delle stelle”. Siamo polvere di stelle e, citando Thuan Trinh Xuan, astrofisico americano, “nelle vesti di autentici messaggeri dello spazio, le comete e gli asteroidi hanno raccolto questa polvere di stelle per dare la vita al nostro bel pianeta”.