Il mare del paradosso – Rossella Baldacconi

Sorvolando dall’alto la città di Taranto, il Mar Piccolo appare come un otto rovesciato, il simbolo dell’infinito. Non a caso, nonostante il feroce inquinamento ambientale, il piccolo mare interno racchiude ancora un patrimonio naturalistico unico nel suo genere. Come in un paradosso, l’inquinamento che ha avvelenato i sedimenti dei suoi fondi molli, non ha ucciso le innumerevoli forme di vita che lo popolano.

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Generalità
Il Mar Piccolo è una laguna costiera che si estende per poco più di 20 km², a nord della città di Taranto. È suddiviso in due seni di forma ellittica, il primo in comunicazione con il Mar Grande attraverso due varchi, il canale navigabile e il canale di Porta Napoli, e il secondo poco più grande e più interno.

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ponte-punta-penna-dal-secondo-senoTNel bacino sfociano brevi corsi d’acqua costeggiati da preziosi ambienti umidi, come il fiume Galeso decantato da Orazio e Marziale, e rifugio di numerose specie di uccelli acquatici.

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Da depressioni imbutiformi dei fondali di entrambi i seni, inoltre, sgorgano sorgenti sottomarine di acqua ipogea, chiamate citri, in greco caldaie ribollenti. Le sorgenti oltre ad assumere un ruolo fondamentale nel regolare la temperatura delle acque dell’intero bacino, influenzano anche la salinità, che è di poco inferiore a quella del mare aperto. L’abbondanza di sali di azoto e fosforo apportati dai corsi d’acqua, la bassa profondità e il ridotto idrodinamismo, rappresentano alcune delle peculiarità che rendono il Mar Piccolo un ambiente particolarmente produttivo in grado di sostenere considerevoli masse biologiche, dai microscopici organismi planctonici alla base delle reti alimentari, fino ai grandi predatori.

Sugli inquinanti
Il dramma ambientale di Taranto e dei suoi mari, iniziò nel lontano 1889 quando fu inaugurato l’Arsenale Militare costruito sulla sponda meridionale del primo seno del Mar Piccolo, al posto di una parte della necropoli greco-romana e di preziose ville settecentesche. All’Arsenale Militare seguì la costruzione della Stazione Torpedinieri, dell’Idroscalo sul secondo seno, dei Cantieri Navali, della polveriera di Buffoluto, destinando il Mar Piccolo a divenire una sede strategica dell’industria bellica nazionale. Oltre ad aver completamente stravolto l’assetto costiero del mare interno con moli, banchine, tombamenti e bacini di carenaggio, queste opere scellerate hanno implicato la cementificazione di chilometri di sponde con la conseguente distruzione del fragile ecosistema mesolitorale, al confine tra la terra e il mare. Ma l’enorme impatto ambientale non si è limitato all’alterazione irreversibile del paesaggio costiero. Alle attività dell’Arsenale Militare e dei Cantieri Navali è imputato in parte il grave inquinamento dei sedimenti marini del primo seno, contaminati da concentrazioni elevatissime di PCB (PoliCloroBifenili), ben al di sopra dei limiti di intervento, da metalli pesanti (mercurio, arsenico, cadmio, piombo, rame e zinco) e da altri pericolosi inquinanti come i composti organostannici utilizzati nelle vernici antifouling.
La violenza inflitta sui mari di Taranto, sulla città e su tutto il territorio circostante raggiunse l’apice con la costruzione dell’Italsider che sancì l’inizio della catastrofe ambientale. Dal 1965, anno in cui l’industria fu inaugurata, ogni comparto dell’ecosfera, dall’aria all’acqua, dalla terra a tutti gli esseri viventi è stato gradualmente contaminato da una lunga serie di inquinanti cancerogeni, come le temutissime diossine. Anche il Mar Piccolo ha subito direttamente o indirettamente l’impatto prodotto dalla vicina area industriale che negli anni si è sempre più ampliata e ha visto sorgere, tra l’altro, il cementificio e la grande raffineria dell’Eni.
La contaminazione del bacino è avvenuta attraverso la ricaduta degli inquinanti adsorbiti a polveri sottili e precipitati dal cielo (fall out), il dilavamento di suoli contaminati (run off), l’apporto degli inquinanti attraverso i corsi d’acqua. Inoltre, l’Idrovora dell’ILVA sulla sponda nord-occidentale del primo seno, ha stravolto le correnti del Mar Piccolo e ha provocato un aumento della salinità richiamando un’enorme quantità d’acqua salata dal Mar Grande (fino a 4 milioni di metri cubi al giorno!) e di inquinanti provenienti dalla zona portuale e dagli scarichi industriali. Recenti studi effettuati dal Politecnico di Bari, hanno dimostrato che bastano soltanto 15 giorni perché le acque inquinate della zona antistante gli scarichi dell’ILVA giungano nel primo seno, contaminandolo con altre sostanze tossiche, come gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici).

ilva-primo-senoTL’impatto delle attività industriali sul Mar Piccolo è avvenuto anche in modo indiretto per mezzo dei citri, le sorgenti sottomarine che apportano acque ipogee. Il percolato proveniente da una gigantesca discarica di scarti di lavorazione industriale e di sostanze tossiche, ha col tempo raggiunto e contaminato la falda profonda che alimenta le sorgenti, contribuendo all’inquinamento continuo e generalizzato.
Tutto ciò ha prodotto danni gravissimi alla secolare mitilicoltura tarantina soprattutto nel primo seno del Mar Piccolo, un ambiente così contaminato che i mitili posti in allevamento accumulano sostanze altamente cancerogene come diossine e PCB in concentrazioni tali da vietarne il consumo alimentare. Tonnellate e tonnellate di mitili sono stati negli ultimi anni etichettati come rifiuti speciali e smaltiti in inceneritore che con le sue emissioni contribuisce ad avvelenare l’ambiente.
In confronto, gli scarichi civili di ben otto comuni del circondario (e potrebbero anche aumentare!) che sfociano attraverso il Canale d’Aiedda nel secondo seno sembrano un’inezia. Producono, in realtà, un rilevante arricchimento organico della porzione più interna del Mar Piccolo. Il surplus di materia organica combinato ad alte concentrazioni di nitrati e fosfati lisciviati dalle circostanti terre coltivate, innesca soprattutto nei mesi estivi, impressionanti fioriture algali che destabilizzano il delicato sistema marino e provocano gravi crisi anossiche e diffuse morie di massa.

Il patrimonio sommerso del Mar Piccolo
Un quadro del genere indurrebbe chiunque a supporre che il Mar Piccolo sia ormai ridotto a un deserto abiotico, un mare privo di ogni forma di vita. Questo è quello di cui sono convinti molti tarantini che considerano il piccolo mare un posto degradato, altamente inquinato, da evitare. Non sanno però che celato sotto le acque del bacino, esiste un tesoro di inestimabile valore naturalistico e dalle caratteristiche uniche. L’elevata biodiversità del Mar Piccolo, ovvero il numero complessivo di specie diverse che costituiscono la comunità marina, è sicuramente la qualità più sorprendente che cozza fortemente con l’alto grado di inquinamento ambientale.
Già a pochi centimetri di profondità, il paesaggio sottomarino appare straordinario. Grovigli giganteschi di alghe verdi filamentose si alternano a rigogliose praterie di piante marine.

Prateria della pianta marina Cymodocea nodosa

Prateria della pianta marina Cymodocea nodosa

Ogni tallo o fronda vegetale ospita miriadi di organismi, piccoli anemoni screziati, gasteropodi dalla conchiglia a forma di trottola, idrozoi urticanti, ascidie colorate, briozoi frondosi e tanti altri ancora.

Un piccolo anemone, Paranemonia cinerea, su una fronda della pianta

Un piccolo anemone, Paranemonia cinerea, su una fronda della pianta

Tra i vegetali si nascondono innumerevoli seppie, tordi variopinti, granchi giganteschi e ghiozzi boccarossa.

La seppia, Sepia officinalis, cefalopode molto diffuso nel Mar Piccolo

La seppia, Sepia officinalis, cefalopode molto diffuso nel Mar Piccolo

Dove non crescono i vegetali, il fondale incoerente è impreziosito da tappeti di conchiglie vuote tra cui sporgono i polipi di grandi cerianti dalle folte chiome tentacolari e le inconfondibili valve della Pinna nobile, il più grande mollusco del Mediterraneo, un tempo molto abbondante nel Mar Piccolo tanto da essere pescato in gran numero per prelevarne il bisso, utilizzato dall’animale per ancorarsi al substrato. Il bisso, dopo lungo trattamento, era lavorato da pochi abili artigiani per tessere stoffe preziose.

Il grande polipo del cerianto, Cerianthus membranaceus

Il grande polipo del cerianto, Cerianthus membranaceus

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Un esemplare adulto di Pinna nobilis ricoperto da molti organismi marini

L’habitat più caratteristico del Mar Piccolo è senza dubbio quello che si viene a creare sulle superfici dei pali dei vecchi impianti di mitilicoltura. Il subacqueo che visita per la prima volta i lunghi pali sommersi resta impressionato dalla complessità delle aggregazioni di organismi, dall’abbondanza e dalla ricchezza delle incalcolabili forme di vita. Ogni superficie metallica è ricoperta da denti di cane acuminati, da inestricabili intrecci di tubi calcarei abitati da vermi, da alghe frondose, laminari o coralline, da mitili, pettini e ostriche simili a tridacne in miniatura. Cespugli di briozoi semitrasparenti, attinie dai lunghi tentacoli, spugne soffici e digitate, colonie di ascidie dorate, tutti questi organismi lottano con tenacia per la conquista del poco spazio disponibile e si ricoprono vicendevolmente, soffocandosi o avvelenandosi a colpi di metaboliti tossici in una invisibile e silenziosa guerra chimica.

Vecchio palo della mitilicoltura ricoperto da un numero impressionante di gigli di mare, Antedon mediterranea

Vecchio palo della mitilicoltura ricoperto da un numero impressionante di gigli di mare, Antedon mediterranea

Sporgono come fiori marini dai pali che sembrano le colonne di un meraviglioso tempio sommerso, moltitudini di spirografi, insospettabili vermi dal bellissimo apparato filtratore avvolto a spirale, e colonie ramificate di briozoi rosso sangue simili a bizzarri candelabri.

Uno spirografo, Sabella spallanzanii, con la vistosa corona branchiale bianca striata di viola

Uno spirografo, Sabella spallanzanii, con la vistosa corona branchiale bianca striata di viola

Grappoli di ascidie grigiastre o verdastre pendono dai pali e ondeggiano lievemente nella debole corrente.

Un bouquet di graziosi ascidie semitrasparenti, Clavelina lepadiformis

Un bouquet di graziosi ascidie semitrasparenti, Clavelina lepadiformis

Altre ascidie coriacee come pietre, chiamate microcosmi (in tarantino spuénzele) sono raccolte dai pescatori, tagliate in due e succhiate. La polpa giallastra che fuoriesce dall’involucro odora di iodio, intenso concentrato di mare.

Sull’enorme assembramento colorato vivono altrettanti animali tra cui granchi, paguri e porcellane, ricci verdi e gigli di mare, vermi piatti e stelle gibbose, gasteropodi con conchiglia, soprattutto murici (in tarantino cuèccele), e moltissimi nudibranchi, piccoli gioielli del mare dalle eccezionali livree variopinte.

La stella marina più comune del Mar Piccolo, Asterina gibbosa

La stella marina più comune del Mar Piccolo, Asterina gibbosa

Il bellissimo nudibranchio, Felimida luteorosea

Il bellissimo nudibranchio, Felimida luteorosea

Si nascondono tra gli innumerevoli organismi sessili anche molti pesci bentonici. I più comuni sono il pesce ago di Rio, il ghiozzo nero e la bavosa pavone dall’inconfondibile elmetto giallo in testa.

Un maschietto di bavosa pavone, Salaria pavo, custodisce le uova deposte dalla femmina all’interno di un guscio di cozza

Un maschietto di bavosa pavone, Salaria pavo, custodisce le uova deposte dalla femmina all’interno di un guscio di cozza

Ma il tesoro più prezioso del Mar Piccolo è il cavalluccio marino, il paradossale simbolo del mare pulito e incontaminato. I meravigliosi cavallucci marini somigliano a piccoli draghi in miniatura con una lunga coda prensile ed espansioni filiformi sul capo.

Il cavalluccio marino, Hippocampus guttulatus

Il cavalluccio marino, Hippocampus guttulatus

Gli affascinanti pesciolini sono rigorosamente protetti dalla legislazione vigente poiché in declino in tutto il Mediterraneo a causa del degrado ambientale, della cattura accidentale nelle reti e della raccolta indiscriminata per l’acquariologia. La loro presenza, accresce enormemente il valore naturalistico e conservazionistico del mare interno tarantino.
Un’altra particolarità del Mar Piccolo è la presenza di molte specie aliene giunte da ogni angolo del pianeta trasportate nelle acque di zavorra o incrostate sugli scafi delle innumerevoli navi che solcano i mari di Taranto, o ancora introdotte con gli animali da allevare in acquacoltura. Ascidie peruviane ricoprono rapidamente corde e altri manufatti, colorati vermi tropicali competono per lo spazio con gli spirografi nostrani, spugne brasiliane crescono al posto degli organismi indigeni.

Il verme alieno di origine tropicale Branchiomma luctuosum

Il verme alieno di origine tropicale Branchiomma luctuosum

La spugna Paraleucilla magna, proveniente dalle lontane coste brasiliane

La spugna Paraleucilla magna, proveniente dalle lontane coste brasiliane

E nudibranchi bitorzoluti provenienti dal Mar Rosso, alghe laminarie importate con stock di ostriche giapponesi, minuscoli mitili asiatici. Tutti questi organismi convivono forzatamente con quelli autoctoni, mostrando in alcuni casi carattere invasivo e destando non poche preoccupazioni.
Infine, di notevole importanza sono le segnalazioni nel Mar Piccolo di grandi animali pelagici, che penetrano nel bacino dal Mar Grande, probabilmente in cerca di cibo. Si tratta della tartaruga Caretta caretta e dello squalo elefante Cetorhinus maximus.

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Gli emozionanti avvistamenti inducono a riflettere sullo splendore del Mar Piccolo, mare tanto oltraggiato dall’uomo quanto premiato dalla Natura.

Rossella Baldacconi – 2015