Un’italiana nello Spazio – Margherita Maglie

“In un giorno come questo (beh, ci sarà un altro giorno come questo?) sento che la cosa più importante da dire è ringraziarvi: ho avuto molte occasioni di ringraziare pubblicamente le organizzazioni che hanno reso possibile questo volo spaziale per me. Ma ora vorrei fare dei ringraziamenti più personali alla mia famiglia, ai miei amici, ai miei insegnanti, a tutte le numerose persone che mi hanno aiutata ad arrivare a questo giorno, sostenendomi o mettendomi alla prova, insegnandomi qualcosa o semplicemente essendo lì per me. Vado nello spazio con tutta me stessa, con tutto quello che sono e di cui ho fatto esperienza, e porto certamente con me ogni persona che ho incontrato.
Grazie a tutti del supporto e dell’entusiasmo, è tempo di andare. Ci sentiamo dallo spazio! #Futura42

Samantha Cristoforetti ha salutato la Terra con questo messaggio ed una playlist di brani musicali, dirigendosi verso l’antica base di lancio kazaka di Bajkonur. Ad attenderla, sei ore di viaggio a bordo di una Soyuz TMA-15M in compagnia dei suoi compagni di missione, l’americano Terry Virts ed il russo Anton Shkaplerov.
Engine turbopumps at flight speed”
First stage engines at maximum thrust”
Fueling tower separate”
LIFT OFF”
Alle ore 22:01 italiane di domenica 23 Novembre 2014, Samantha ha spiccato il volo per prendere parte alle Expeditions 42/43 che la terranno impegnata in orbita per un periodo di circa sei mesi, fino al maggio 2015, in veste di primo ingegnere della missione italiana Futura. Il suo compito comprende il monitoraggio dei sistemi di bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), nonché delle operazioni di alcuni veicoli in fase di sgancio (o operatività) dalla grande casa orbitante. Samantha è la 59-esima donna ad andare nello spazio, la prima italiana ed è anche l’unica donna ad aver superato le dure selezioni svolte dall’European Space Agency (ESA) nell’ambito di un programma di potenziamento del corpo degli astronauti europei. Trentasette anni, cinquecento ore di volo a bordo di sei diversi tipi di velivoli militari, cinque lingue (italiano, francese, tedesco, russo e inglese) più una nel cassetto, il cinese, che nella vita non si sa mai. Una laurea in ingegneria aerospaziale, una tesi di master sullo sviluppo di propellenti solidi per lanciatori, ed un paio di titoli all’estero. Una passione coltivata da sempre, da quando da bambina tappezzava la sua stanzetta a Trento di poster spaziali e libri fantascientifici.

Assunta dall’ESA nel 2009, ha completato nel novembre 2010 l’addestramento base degli astronauti e nel 2011 quello relativo all’utilizzo dei sistemi di bordo della ISS, nonché alle famose “passeggiate spaziali”. Nel 2012 poi è stata assegnata dall’Agenzia Spaziale Italiana alla missione Futura, che la vede oggi protagonista.

Sono grata di poter svolgere il lavoro più bello del mondo. Per noi sei, che rappresentiamo la nuova classe di astronauti europei, questo è l’inizio di una nuova vita.”, dice riferendosi anche ai suoi colleghi.

In preparazione al suo viaggio, Samantha ha seguito l’iter classico di addestramento degli astronauti dell’EAC (European Astronauts Corp), presso la sede di Colonia, in Germania: corsi incentrati sull’acquisizione di nozioni mediche ed ingegneristiche, queste ultime relative essenzialmente alla meccanica orbitale, lezioni di sopravvivenza in condizioni critiche e di riparazione dei sistemi in caso di guasti, quali incendi o depressurizzazioni, periodi di isolamento e di forte stress psicologico, allenamento nelle vasche adibite alla simulazione delle attività a gravità zero, svolgimento di operazioni su fedeli riproduzioni di moduli spaziali in dimensioni reali, compresi il veicolo di approvvigionamento ATV e il laboratorio scientifico Columbus.

Tra le mansioni della nostra astronauta rientra infatti anche il monitoraggio delle operazioni di distacco del quinto ed ultimo Automated Transfer Vehicle (ATV) e di quelle di attacco e di gestione dei veicoli Dragon di SpaceX e Cygnus di Orbital Sciences della NASA.

Per quanto riguarda l’ATV, si tratta sostanzialmente di un modulo (pesante fino a 20 tonnellate al momento del lancio) in grado di trasportare verso la ISS 9 tonnellate di carico utile (acqua, aria, cibo, carburante, pezzi di ricambio e attrezzatura scientifica, il tutto sistemato all’interno del cargo in funzione del baricentro dello stesso) e di sistemare l’assetto della struttura orbitante aumentandone l’altitudine in media ogni 15 giorni (si stima che il quantitativo di carburante dedicato a questo tipo di manovre sia anche superiore agli 800 kg); controllato per un periodo di circa sei mesi dall’ATV Control Centre a Tolosa, dopo essere stato riempito per un totale di circa 6 tonnellate con i rifiuti prodotti ed accumulati sulla stazione, viene sganciato e lasciato bruciare sopra l’oceano Pacifico. Il compito di Samantha sarà monitorare i dati relativi al rientro del modulo in atmosfera, registrati dal Reentry Breakup Recorder (REBR), una sorta di scatola nera collocata a bordo dell’ATV, in modo tale da studiare un agevole rientro per la ISS stessa al termine della sua attività. Il sistema REBR registrerà i dati relativi alla temperatura ed alla pressione negli ultimi minuti di vita dell’ATV e sarà poi espulso dal modulo; a questo punto attiverà il trasmettitore di bordo e invierà le informazioni utili per la sua localizzazione ad un satellite.

La curiosità più affascinante rimane certamente il sistema di attracco di questo modulo alla Stazione Spaziale: dopo aver utilizzato un sensore stellare per calcolare l’orientamento della navicella infatti, l’ATV sfrutta i dati provenienti da una coppia di sensori che permettono un aggancio preciso fino al millimetro, mentre le due navicelle si rincorrono alla velocità di 28’000 km/h! Analogamente, il Cygnus, lanciato per mezzo del razzo Antares in data 27 Ottobre, è un veicolo non pilotato, progettato per portare rifornimenti alla ISS in seguito al licenziamento dello Space Shuttle del 2011, anch’esso non in grado di rientrare in atmosfera. Ha rifornito la Stazione Spaziale di circa 1,9 t di rifornimenti di vario genere, fra cui pezzi di ricambio, hardware per esperimenti scientifici e approvvigionamenti per la crew. Al contrario dell’ATV e del Cygnus invece, Dragon , un modulo adibito al trasporto di merci e di un numero fino a sette di persone, è riutilizzabile e, grazie al suo scudo termico, in grado di rientrare sano e salvo a terra da orbite (a detta dell’amministratore delegato della SpaceX, Elon Musk) lunari o addirittura marziane.

Mentre l’ATV richiede per costituzione di attraccare al modulo russo Zayra della Stazione Spaziale, il Dragon, dotato di un cosiddetto sistema di aggancio comune, il DragonEye, consente di agganciare la ISS tramite tutti i suoi moduli pressurizzati non russi, per mezzo dell’ausilio di un braccio robotico.

E’ possibile comunque seguire gli aggiornamenti di Samantha tramite Twitter (@AstroSamantha), o sulla sua pagina Facebook. “Come abitante temporanea di un avamposto umano nello spazio, condividerò la prospettiva orbitale e condurrò virtualmente nello spazio tutti quelli che vorranno prendere parte a questo viaggio”.

Alzando gli occhi al cielo pochi istanti prima del lancio, non ho potuto fare a meno di provare una certa irrazionale meraviglia pensando che sotto quello stesso blu tre persone come noi stessero per intraprendere un viaggio così diverso dal solito. Alle 22:01 tre persone come noi hanno veramente alzato i piedi da terra sotto la spinta di più di 200 tonnellate di RP-1 e ossigeno liquido. Tre persone come noi hanno viaggiato a migliaia di chilometri orari a pochi chilometri dalle nostre teste e continueranno a farlo per i prossimi sei mesi. Tre persone come noi saranno nuove spettatrici di sedici albe e sedici tramonti, ogni giorno. Tre persone come noi avranno il nostro pianeta in versione ogni volta inedita ed esclusiva. Tre persone come noi. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.” (Gandhi) Che dire allora: Buon viaggio a tutti!

La ISS, la nostra casa nello Spazio – Margherita Maglie

La ISS transita nel cielo sopra il Faro di Santa Maria di Leuca

Spesso e volentieri confusa con la casetta volante di un extraterrestre curioso, la ISS, per esteso International Space Station, non ha un gran bisogno di presentazioni per gli appassionati di astronautica, ma merita di esser raccontata, almeno in breve, anche a coloro che, come è successo a me qualche anno fa, credono che una navicella spaziale aliena sia rimasta incastrata nell’orbita terrestre. Si tratta di una sorta di “casa” orbitante a circa 360 km dalla Terra, grande quanto un campo da calcio, dedicata essenzialmente a ricerche di carattere scientifico e tecnologico, come gli esperimenti relativi alla microgravità, di cui ci occuperemo più avanti. La sua velocità media è di quasi 28.000 km/h e compie 15.72 orbite (quasi circolari) al giorno, perdendo quotidianamente, a causa dell’attrito atmosferico, 103 m di quota, che son poi recuperati una volta l’anno tramite l’ausilio di due motori principali.

Il primo modulo della Stazione Spaziale fu lanciato nel 1998, dopo che sedici Nazioni, tra cui l’Italia, si accordarono per collaborare ad un progetto grandioso, sia dal punto di vista del progresso scientifico che dal punto di vista economico, oltre che esempio mirabile di collaborazione internazionale. Quantificando “grandioso” , come ha già fatto per noi Herman Bondi, ex direttore generale dell’Organizzazione europea per la ricerca spaziale, ci accorgiamo di come l’abitudine a contare i milioni di miliardi in termini di denaro, senza percepire il peso di ciò di cui si sta parlando, sia la causa principale di alcune asserzioni insensate, prima tra tutte “Questa inutile ricerca spaziale, quanto ci costa!”. Tanto per avere un’idea, la spesa annuale pro capite dedicata al programma spaziale è di circa 20 dollari. Per avere un confronto, invece, si pensi che i soli USA investono fino a 400 dollari pro capite in armamenti militari.

La ISS è un concentrato di tecnologia. Con oltre 1000 ore di lavoro di assemblaggio e di passeggiate spaziali alle spalle, si stima che sarà operativa fino al 2028, continuando ad alimentarsi tramite i pannelli fotovoltaici posizionati esternamente sull‘ITS, Integrated Truss Structure, che convertono l’energia solare in corrente elettrica. L’abitabilità all’interno non è meno complessa da gestire: oltre ad un sistema GPS per il controllo dell’altitudine e a dei giroscopi per il controllo dell’orientamento, la Stazione è dotata di un sistema di supporto vitale che monitora le condizioni atmosferiche, la pressione, il livello di ossigeno e mantiene tali parametri su valori adeguati alla sopravvivenza degli astronauti, ricicla i fluidi provenienti dai servizi igienici e condensa il vapore acqueo. L’anidride carbonica viene rimossa dall’aria da un apposito sistema (Vozdukh), mentre tutti gli altri prodotti umani (il sudore ad esempio) sono filtrati tramite il carbone attivo; quest’ultimo infatti assorbe la maggior parte delle sostanza organiche e consente quindi la depurazione degli aeriformi. IssL’Ossigeno, invece, è prodotto tramite l’elettrolisi dell’acqua, ossia la scomposizione dell’acqua tramite il passaggio di corrente elettrica. I rifiuti solidi, trattati a parte, sono raccolti in sacchetti individuali e smaltiti nel veicolo Progress. La vita dell’astronauta è in questo senso abbastanza sacrificata: l’acqua a bordo infatti è un bene prezioso e per l’igiene quotidiana ogni passeggero ha a disposizione articoli limitati come salviette umidificate, shampoo a secco e dentifricio commestibile. Il cibo è refrigerato o in scatola e la dieta è prescritta prima della missione. Si presta molta attenzione agli alimenti friabili che potrebbero intasare i filtri con le briciole e le bevande, per lo stesso motivo, sono aspirate tramite cannuccia.

La giornata di un astronauta a bordo della ISS inizia presto: la sveglia è alle 06:00 del mattino, sincronizzata con il Coordinated Universal Time, orario del fuso di Greenwich. Si lavora circa dieci ore in un giorno feriale e cinque ore il Sabato, dedicando al riposo solo il tempo rimanente. I nostri inviati lassù si occupano principalmente di ricerca medico-biologica, di test sull’ elettromagnetismo, sulla robotica e sul comportamento di combustibili e fluidi nello spazio. Questa piattaforma scientifica, infatti, permette ai ricercatori di tutto il mondo di impiegare il proprio talento con esperimenti innovativi che non potrebbero essere realizzati in nessun altro luogo. Per quanto riguarda la medicina, ad esempio, è stato possibile studiare e comprendere  i meccanismi di alcuni processi fisiologici altrimenti mascherati dalla gravità e lo sviluppo di nuove tecnologie mediche e protocolli guidati dalla necessità di sostenere la salute degli astronauti. I progressi nella telemedicina, i sistemi di risposta allo stress psicologico, l’alimentazione, il comportamento delle cellule, e la salute ambientale sono solo alcuni esempi dei benefici che sono stati ottenuti dall’ ambiente unico offerto dalla microgravità della stazione spaziale. La microgravità sembra dunque rendere fertile il territorio all’innovazione, non solo medica. Immaginate la soddisfazione di un ingegnere che sperimenta il suo nuovo braccio robotico nell’ambiente per cui è stato progettato: un bambino con le mani piene di caramelle. Tuttavia è proprio la ZERO-G la causa dei problemi fisici più evidenti a bordo; la apparente e prolungata assenza di peso, infatti, indebolisce le ossa e i muscoli, generando atrofia e osteopenia; l’apparato circolatorio funziona in modo differente e si ha una ridistribuzione dei liquidi corporei. Per questo motivo è importante praticare costantemente attività fisica: a bordo si hanno a disposizione tapis roulant e cyclette a cui ci si vincola tramite corde elastiche. Lo stress del sistema vestibolare dell’orecchio, responsabile dell’ equilibrio, è l’ennesima causa di malessere per gli astronauti; quest’ultimo infatti provoca il famigerato senso di nausea, noto come “mal di spazio”, che tuttavia è destinato a svanire nell’arco di 72 ore.

La stazione spaziale è anche un occhio per l’osservazione globale e la diagnosi del nostro Pianeta: essa offre un punto di vista unico per osservare gli ecosistemi della Terra con apparecchiature manuali ed automatizzate. Gli equipaggi della Stazione possono osservare e riprendere con le telecamere le immagini di eventi che si svolgono in diretta e questa flessibilità rappresenta un vantaggio rispetto al supporto che possono offrire dei sensori installati su veicoli spaziali senza equipaggio, soprattutto quando si verificano eventi naturali imprevisti come eruzioni vulcaniche e terremoti. Le comunicazioni con la Terra avvengono tramite radiocollegamento, ossia tramite l’invio di segnali elettromagnetici appartenenti alle microonde dello spettro elettromagnetico, detta anche banda radio. Nelle comunicazioni essenzialmente si trasmettono i dati degli esperimenti scientifici, le procedure di aggancio con altre navette per il rifornimento o anche trasmissioni di audio e video tra astronauti e famiglie. Per questo motivo, l’ISS è dotata di molteplici sistemi di comunicazione, dei quali uno appositamente dedicato alla divulgazione scientifica per scuole e Università. La stazione spaziale, infatti, ha una capacità unica di catturare l’immaginazione di studenti e docenti di tutto il mondo e la presenza umana a bordo della stazione è stata la base per numerose attività educative volte a catturare l’interesse e accrescere la motivazione per lo studio delle scienze come per la tecnologia, l’ingegneria e la matematica. La sicurezza tuttavia non è solo questione di comunicazione: i lanci di Shuttle o in generale di moduli diretti verso la Stazione sono stati in passato il teatro preferito di incidenti mortali. Primo tra tutti, il disastro dello Space Shuttle Columbia avvenuto il 1º febbraio 2003, a cui son poi seguiti problemi legati a componenti della Stazione stessa (essenzialmente pannelli solari e sistemi di raffreddamento, questi ultimi costruiti dalla Boeing). Un’altra minaccia alla salute della nostra stazione orbitante è senz’altro l’esagerata quantità di detriti spaziali in orbita intorno alla Terra, i quali, impattando, sarebbero in grado di bucare i moduli pressurizzati e causare danni anche molto gravi. Il tutto è comunque monitorato da terra e l’equipaggio è avvertito con tempestività nel caso in cui un oggetto sia in rotta collisione; una comunicazione efficace consente infatti di intraprendere in tempo una manovra detta Debris Avoidance Manoeuvre (DAM) che utilizza dei propulsori per modificare l’altitudine orbitale della stazione ed evitare il detrito.

Dal 28 Maggio all’11 Novembre abbiamo avuto l’onore di essere rappresentati nella Missione “Volare” dal Maggiore Luca Parmitano, classe 1976. Nella sua permanenza a bordo della Stazione Spaziale, Parmitano ha orbitato intorno alla Terra ben 2656 volte, ma come ha dichiarato alla Stampa in un’intervista, al ritorno: “Ho sentito forte l’odore della terra bagnata e mi sono emozionato ai colori dell’alba”. A bordo sono stati condotti ben 30 esperimenti scientifici, mentre delle due passeggiate che erano state previste solo la prima è andata a buon fine, con una durata di poco più di sei ore. La seconda, invece,  è stata prontamente interrotta nei primi 90 minuti di operazione, a causa della presenza di acqua nel casco dell’astronauta. Il lungo addestramento e il grande autocontrollo hanno permesso a Parmitano il rientro sano e salvo all’interno della Stazione. Personalmente, trovo coraggiosa la scelta di diventare un astronauta. Da bambini attendiamo con ansia che qualcuno ci chieda “cosa vuoi fare da grande?”, da bambini non abbiamo paura dei progetti e del futuro. Poi, crescendo, dimentichiamo come si fa. Se un giorno dovessi essere un astronauta in pensione e qualcuno dovesse chiedermi “cosa vuoi fare da grande?”, vorrei rispondere ”l’astronauta.”: più felice di un bambino con le sue caramelle!